Urbis Romae in pillole, dal Tardo Impero a oggi.


Premessa I

“Non è del tutto chiaro quando nel mondo nordico si cominciò ad avere notizia di Roma, ma già nel

113 a.C. i popoli germani Cimbri e Teutoni, partendo dai territori scandinavi, entrarono nelle

regioni danubiane, continuando quel lungo processo (iniziato con la migrazione celtica del

IV a.C.) di invasioni/migrazioni nel territorio romano da parte di popoli extra-romani. D'altra parte

Roma già brulicava di Galli, Greci, Arabi, Africani, Ebrei, Persiani, essendo il Mar Mediterraneo il

centro geografico e vero crocevia dell'Impero, un Impero vastissimo che si estendeva su tre

continenti. Conseguentemente, il rapporto dei popoli germanici con Roma si può riassumere come

una alternanza di conflitti feroci e integrazioni pacifiche. Non era facile accedere liberamente

all’impero: le truppe stabilite lungo il confine avevano il compito di controllare l’ingresso di uomini

e merci; tuttavia, entrare o uscire dall’impero non era né impossibile né vietato. Quindi, una forma

di immigrazione clandestina verso l’impero era sempre esistita e, oltre tutto, ci sono diverse

testimonianze di fenomeni di discriminazione soprattutto all’interno della città.” (A. Iannucci)

“Un importante provvedimento preso durante il regno di Caracalla (inizio III Sec. d.C.)

fu l'emanazione dell'editto noto come Constitutio Antoniniana, che concedeva la cittadinanza a tutti

gli abitanti dell'Impero di condizione libera (non schiavi).” (Wiki)


Premessa II

Sulla base di rinvenimenti catastali, a Roma sotto l'imperatore Settimio Severo (II-III Sec. d.C.) la

popolazione era di circa 1,2 milioni di abitanti su 2000 ettari di superficie; le insulae erano pertanto

46.602 contro 1797 domus. Le prime erano dimora dei plebei, mentre le seconde erano abitate dai

patrizi. In pratica le insulae costituiscono il “condominio” della Roma antica: nella forma più tipica erano palazzi a pianta quadrangolare, con cortile interno (cavedio) talvolta porticato, sul quale erano

posti i corridoi di accesso alle varie unità abitative, dette cenacula, tecnicamente veri e propri "appartamenti". In questi edifici il piano terra era solitamente destinato a botteghe di vario genere

(tabernae), dotate di un soppalco adibito a deposito di materiali e/o alloggio degli artigiani più

poveri; ai piani superiori si trovavano gli alloggi, che diventavano meno pregiati man mano che si

saliva verso il tetto. Le unità abitative andavano tipicamente da tre a dieci stanze, delle quali una di solito era di dimensioni maggiori e in posizione migliore rispetto alle altre. Il primo piano,

solitamente, ospitava i cenacula di maggior pregio, spesso serviti da una balconata lignea o in

muratura, poggiata su mensole, che percorreva l'intero affaccio stradale. Le sistemazioni si facevano

più spartane e precarie ai piani superiori, fino ad arrivare al sottotetto, dove si pativa freddo

d'inverno e caldo d'estate, oltre a stillicidi d'acqua durante le precipitazioni.

Il prospetto a mattoni, in genere, non veniva intonacato, ma si poteva comunque riscontrare un

effetto visivo policromo per via dell'uso di laterizi di colori e tonalità diverse per i vari elementi

architettonici. I solai e le coperture erano spesso sostenute da volte, che garantivano maggiore

stabilità. Nel complesso mancavano i servizi igienici, essendo notoriamente usate a tale scopo le

latrine pubbliche e le terme. (Angela)


Cronologia

III-IV Sec. Forte epidemia di peste (peste di Cipriano) dal 250 al 270 circa.

Crisi sistemica, religiosa e politica dell'Impero, forte denatalità, iperinflazione,

insostenibile pressione fiscale, desertificazione degli agri, emigrazione.

Costruzione delle Mura Aureliane (270-275) a protezione della città.

Popolaz. Urbe >800.000 – Italia 10.000.000 – Europa 40.000.000 (IV Secolo)

Durante il I e II Secolo l'opera (e sovente il martirio) dei predicatori cristiani, unita ad una crisi del

culto politeista greco-romano, vide la progressiva affermazione del Cristianesimo nel territorio

imperiale. Nel III e IV Secolo la tolleranza verso la nuova religione di tre Imperatori, Galerio,

Costantino e Teodosio, e la conversione di gran parte della popolazione, barbari compresi, porterà

ad un lento abbandono dei riti pagani e alla chiusura dei vecchi luoghi sacri, non senza aver assistito

ad episodi di saccheggio e distruzione da parte dei Cristiani più fanatici.

“Gli editti pubblicati tendevano a condannare il paganesimo come religio illecita e quindi ad

eliminarlo lavorando su due fronti: da una parte l’assoluto divieto dei sacrifici e delle altre forme di

culto, con pene che oscillavano dalle sanzioni pecuniarie all’esilio fino alla condanna a morte

(a seconda dei vari imperatori); dall’altra la chiusura, la confisca e, in molti casi, la distruzione dei

templi. I pagani reagirono in vario modo; in principio con la violenza, ma poco a poco, vedendo che

i cristianissimi imperatori erano decisi ad utilizzare i templi da cui avevano tolto i segni della

superstizione, gli stessi pagani si rassegnarono all’evidenza e fecero di tutto per salvare le statue

degli dei. Teodosio II nel novembre del 435 comanda che, se c’è ancora un solo tempio rurale non

distrutto, sia trasformato in chiesa cristiana.

I Padri della Chiesa riconoscevano nella religione pagana l’opera demoniaca e di conseguenza le

sue divinità erano paragonate ai demoni che inducono l’umanità nel peccato. Quest’idea portava a

ritenere i culti pagani come riti di adorazione dei demoni. La conseguenza di tale posizione fu

il riconoscimento come luoghi infestati dal demonio dei templi e di tutti gli ambienti, anche

naturali, in cui si fosse svolto un qualche rito pagano. Questi luoghi, dopo essere stati purificati,

potevano accogliere un edificio cristiano. Dobbiamo tenere presente, però, che a Roma la situazione

risultava ben più complessa e problematica, in quanto la posizione imperiale era fortemente

osteggiata dal senato che, ancora abbarbicato agli antichi dei, portò avanti una lunga e tenace

resistenza. Nel 313, l'imperatore Costantino dispone la costruzione della prima grande Basilica di

Roma fuori dalle mura aureliane, sul colle Vaticano, nel luogo del martirio e sepoltura di san Pietro,

al quale viene consacrata nel 326. Nel IV Secolo il Cristianesimo, ormai religione dell'Impero,

necessita di luoghi di culto adeguati e nel corso di questi due secoli vengono realizzate le prime

basiliche, derivate strutturalmente dagli omonimi edifici romani di riunione forense, come quelle di

San Giovanni al Laterano (nata come SS. Salvatore), di San Paolo e Santa Agnese fuori le Mura,

San Silvestro alla via Latina, San Clemente e Santa Sabina. Oltre alle basiliche sorgono edifici

minori, a pianta centrale, derivati talvolta dall'adattamento dei mausolei sepolcrali romani come il

Mausoleo di Santa Costanza, la Basilica di Santo Stefano Rotondo e il Battistero di San Giovanni,

ma sempre in siti periferici.

Dunque i fondatori di chiese evitavano inizialmente di utilizzare non solo i templi, ma anche le aree

sacre dove in precedenza sorgeva un tempio pure se questo era già in rovina; la credenza che gli

spiriti maligni si aggirassero nei dintorni dei templi era un forte deterrente. (…) Le costruzioni templari, non più soggetti ad operazioni per la manutenzione, andarono in rovina e, privi di controllo, venivano saccheggiati di tutto il materiale riutilizzabile. Scamparono alla distruzione solo i pochi templi che vennero convertiti in chiese: il riutilizzo dell’intero monumento determinò in questi casi l’eccezionale conservazione delle strutture antiche.” (Lonardo)

“Nel 330 Costantino fonda Costantinopoli e la abbellisce sottraendo numerosi capolavori d'arte

greco-romana a diverse città, fra cui Roma. È la prima di una lunga serie di razzie di monumenti

classici che verranno perpetrate ai danni della città per costruire edifici cristiani in ogni parte

d'Europa.” (Thomas)

“Nel IV Secolo acquista grande rilevanza l'assimilazione e la piena integrazione del popolo

germanico dei Goti alla cultura romana: essi diventano soldati (o contadini) romani a tutti gli effetti, garantiscono fedeltà all’impero, si convertono al cattolicesimo e seguono la disciplina romana. In questo processo l’esercito rappresenta la struttura maggiormente in grado di gestire questa forma di integrazione perché assorbiva i barbari e li trasformava nei veterani romani che erano il vero pilastro dell’impero.” (A. Iannucci)

“A partire dal IV secolo (dopo l'editto di Milano) la Diocesi di Roma divenne proprietaria di immobili e terreni, frutto delle donazioni dei fedeli. Il patrimonio terriero del vescovo di Roma era denominato Patrimonium Sancti Petri perché le donazioni erano indirizzate ai santi Pietro e Paolo.”




V Sec. Roma perde la sua importanza politica a favore di Costantinopoli.

Chiusura dei templi pagani. Costruzione di nuove chiese, monasteri e xenodochia.

403 Ristrutturazione delle Mura Aureliane (alzate da 6 a 8 metri e da 14 a 18 porte)

408-410 Sacco di Alarico-Visigoti, carestia

411 Inondazione del Tevere.

422 Epidemia

443 Terremoto molto forte

455 Sacco di Genserico-Vandali, la popolazione è risparmiata

472 Sacco di Ricimero-Burgundi-Ostrogoti

476 Terremoto

Popolazione ipotizzata a metà V Secolo 350-500.000


“Non era per niente facile, se non impossibile, per i rozzi guerrieri del Nord, e per quanto numerosi

fossero, assediare le mura ed espugnare Roma. La Storia ci dice che quando è successo è perchè

qualcuno li ha fatti entrare.” (Thomas)

“Gli edifici senz'altro più colpiti durante il sacco di Alarico furono il palazzo dei Valerii sul Celio e le ville padronali sull'Aventino, che furono incendiate; le terme di Decio furono gravemente danneggiate, e il tempio di Giunone regina fu distrutto. Le statue del Foro furono spogliate, la curia Iulia, sede del Senato, data alle fiamme e la stessa augusta Galla Placidia venne presa in ostaggio da Alarico. Ciononostante, Roma incuteva rispetto agli invasori e nei tre giorni di saccheggio Alarico impartì l'ordine di risparmiare i luoghi di culto cristiani (soprattutto la basilica di San Pietro), che considerò come luoghi di asilo inviolabili dove non poteva essere ucciso nessuno”. (wiki)

“Abbiamo una relativa ricchezza di informazioni sulle direzioni della fuga da Roma saccheggiata

da Alarico. Rutilio Namaziano ricorda come molte famiglie avessero trovato rifugio nell’isola del

Giglio e, in generale, nelle isole dell’arcipelago toscano. La direzione principale della fuga sembra

però essere stata a Sud, verso l’Italia meridionale, la Sicilia e di là l'Africa e addirittura la Palestina,

sempre comunque regioni dell'Impero e relativamente tranquille. Una parte di questi profughi emigrati oltremare era composta da membri delle élites romane, in gran parte aristocratici che hanno perso i loro beni (quelli più preziosi, dalle statue di bronzo ai gioielli, venivano accuratamente nascosti, interrati, murati o buttati nel Tevere).

L’imprigionamento, nella prospettiva o meno del riscatto, era una delle opzioni dei barbari vincitori nei confronti delle popolazioni esposte al loro assalto. L’uccisione, soprattutto dei maschi adulti, costituiva la scelta più drastica, ma nondimeno praticata con relativa frequenza, soprattutto nelle

incursioni da parte di bande.” (V. Neri)

“Sebbene la storia ricordi il sacco dei Vandali come estremamente brutale (da cui il termine vandalismo per indicare un atto di violenza distruttiva e gratuita), in verità Genserico onorò il suo impegno di non abbattere la sua forza sul popolo romano ed i Vandali non operarono nessuna distruzione degna di nota nella città; essi comunque razziarono l'oro, l'argento e molti altri valori, con un impeto peggiore di quello dei visigoti di Alarico, autori del sacco del 410. Procopio descrisse così il sacco: «Genserico giungendo a Roma prese possesso del palazzo...fece prigioniera Eudossia, oltre a Eudocia e Placidia, le figlie di lei e di Valentiniano, e, facendo trasportare sulle sue navi una grande quantità di oro e di altri tesori imperiali, salpò per Cartagine, non avendo risparmiato nemmeno il bronzo o qualsiasi altra cosa in tutta la città.

I Vandali depredarono di ogni ricchezza il palazzo imperiale, e spogliarono i templi come quello di Giove Capitolino, privato per metà del tetto di bronzo. Anche le statue furono trasportate su una nave, che però non riuscì a raggiungere il porto di Cartagine, finendo dispersa.

Migliaia di cittadini romani, di ogni età e rango, furono fatti prigionieri: tra questi spiccavano personaggi illustri, come Gaudenzio figlio di Ezio. Paolo Diacono scrive che, nel corso dei quattordici giorni di saccheggio, avvenuto quarantacinque anni dopo il primo sacco di Alarico e nell'anno 1208 dalla sua fondazione, la città fu spogliata delle sue ricchezze. ” (Wiki)

Poco più di mezzo Secolo dopo “l'assedio del 472 si prolungò per cinque mesi, da febbraio a luglio e vide la città come principale campo di battaglia. Una parte di essa, attorno al Palatino era controllata da Antemio, mentre le milizie di Ricimero, collocate principalmente apud Anicionis pontem (forse ponte Milvio) e presso Pons Hadriani, occupavano le aree di Trastevere, del Gianicolo e del Vaticano. Ricimero, forte del controllo dei ponti e del possesso degli accessi del Tevere, impediva i rifornimenti, lasciando i Romani in balia della fame e delle epidemie.” (Wiki)

“I mutamenti sociali del V secolo portarono il cambiamento del modo di pensare da parte dei cristiani nei confronti del paganesimo. Non solo in Oriente, ma anche in Occidente, si finì col capire che la politica integralista seguita fino allora, fondata sulla soppressione dei templi o sulla loro chiusura era disastrosa sotto tutti i punti di vista: sollevava solo ostilità fra i due gruppi religiosi che dividevano l’impero; era un vero crimine artistico consumato spesso a danno di capolavori dell’antichità; era una spesa costosissima per lo Stato che doveva pagare il lavoro di centinaia di operai impiegati per lo smantellamento degli edifici pagani. Né era una decisione saggia lasciare chiusi locali, spesso grandissimi (templi, atri, abitazioni dei sacerdoti, boschetti sacri) senza trarne alcun beneficio pubblico. Meglio, dunque, sarebbe stato adattarli, con qualche ritocco architettonico, ad una nuova destinazione: così si trasformarono i templi antichi in chiese per il nuovo culto cristiano. Comunque il riuso dei templi per le chiese fu evitato all’inizio, almeno fino a tutto il V secolo, probabilmente perché la comunità cristiana sentiva troppo il peso del culto precedente e degli dei pagani per sentirsi a suo agio in quegli edifici, che riteneva abitati dallo

spirito maligno. Solo quando il cristianesimo fu ormai saldo, e lontano il ricordo della vecchia religione tanto avversa, si cominciò la conversione dei vecchi templi. Questo processo a Roma durò fino al IX Secolo”. (Lonardo)


VI Sec. Tre inondazioni del Tevere

508 Forte terremoto. Riutilizzo dei materiali di edifici pagani abbandonati.

Si diffondono calcare e fornaci (per tutto il Medioevo e oltre)

Progressivo abbandono delle Catacombe.

Guerra Greco-Gotica 535-553, i Goti distruggono gli acquedotti.

537-538 Sacco di Vitige v. Belisario – Carestia

546 Sacco di Totila-Ostrogoti

568 Carestia. Arrivo dei Longobardi in Italia.

590-604 Papato di Gregorio Magno (64º papa)

590 Epidemia di peste (oltre 15.000 morti)

Pop. Fine Secolo ≃ 30.000


“Il periodo successivo alla deposizione di Romolo Augusto del 476, per convenzione considerata la fine dell'Impero romano d'Occidente, vide l'instaurazione di nuovi regni, detti regni romano-barbarici (oppure romano-germanici o latino-germanici). Essi si erano andati formando nelle ex province romane già a partire dalle invasioni del IV e V secolo. Di fatto autonomi, venivano inquadrati come foederati. Inizialmente anche i nuovi regni successivi alla caduta dell'Impero d'Occidente rimasero spesso formalmente dipendenti dall'Impero romano d'Oriente. I capi barbari erano al contempo reggenti per il monarca di Costantinopoli e sovrani dei loro rispettivi popoli.

La cultura germanica non riuscì né sentì il bisogno di eliminare quella romana e ogni popolo contribuì con le proprie caratteristiche migliori nel dare vita ai regni romano-barbarici.

Nonostante il ruolo distruttivo che spesso i popoli invasori svolsero sulle terre invase soprattutto nel momento iniziale della conquista, alcune fonti polemiche (ad esempio il De gubernatione Dei di Salviano di Marsiglia) sostengono che le popolazioni provinciali preferissero i nuovi dominatori germanici al rapace fiscalismo del governo romano, tanto da indurre parte della popolazione a fuggire dal territorio imperiale per trasferirsi nei territori controllati dai barbari.” (Wiki)

“Gli eventi urbanistici tardo e post-imperiali furono un succedersi infinito e sovrapposto di distruzioni, smantellamenti, costruzioni, ricostruzioni e soprattutto interramenti, in una ex-metropoli che da complessa e altamente organizzata viene colpita da eventi naturali e bellici tali da ridurne la

popolazione del 95% nell'arco di un tempo relativamente breve. Alla fine del VI Secolo questo

grosso calo di popolazione, conseguente alla lunga guerra Greco-Gotica e al sacco di Totila, accompagnati da malattie (peste, vaiolo e soprattutto malaria), rende l'Urbe abbandonata e in parziale incuria. Anche le campagne sono state abbandonate, manca così un approvvigionamento regolare di viveri, accentuando il rischio di carestie. I maestosi complessi monumentali e termali, i

teatri, gli stadi ed i lussuosi giardini non hanno più ragione di esistere e richiederebbero una manutenzione impossibile da farsi, per assenza di risorse umane ed economiche. Il sistema fognario e gli acquedotti sono da ripristinare. Del resto tutta l'Italia è in ginocchio. Nonostante ciò, secondo i testimoni dell'epoca, dopo le invasioni, i saccheggi e gli incendi, l'Urbe brilla ancora del suo splendore imperiale. Ma è semideserta; come ritengono gli storici, escluse le aree del Velabro, del Foro e del Campo Marzio meridionale, è abitata a macchie di leopardo. ” (Thomas)

“Nel VI secolo si hanno altri insediamenti di chiese in edifici pubblici non cristiani come S.Maria in Cosmedin nella Loggia dell’Ara Maxima di Ercole, SS. Cosma e Damiano in un annesso del Templum Pacis, e forse S. Agnese in Agone nello stadio di Domiziano (ancora in piedi).

A questo Secolo si possono datare gli istituti assistenziali che non furono costruiti ex novo, ma riutilizzando antichi edifici preesistenti, forse, donati da benefattori o di proprietà della Chiesa o dello Stato: S. Stefano Rotondo nei Castra Peregrina, S. Maria in Cosmedin nello Statio Annonae, S. Giorgio al Velabro nel Forum Boarium, S. Teodoro, S. Maria Antiqua nell' Horrea Agrippiana,

S. Maria in via Lata nell' Edificio horreario, S. Vito nel Macellum Liviae e S. Maria in Domnica nei Castra Peregrina e Macellum Magnum di Nerone. Nella zona del Foro sorse Santa Maria Antiqua, eretta sui resti degli edifici imperiali.” (Lonardo)

“L’unico organismo efficace e capace di tenere insieme la compagine sociale, economica e politica

era la Chiesa. Con a capo Gregorio I Magno, controllava e amministrava territori e mediava accordi

con i Longobardi per impedire uno scontro diretto. La Chiesa quindi nel VI secolo assicurò con

i finanziamenti sia il decoro delle sue proprietà e la protezione dei monasteri ma contribuì anche ad

aiutare i poveri e bisognosi con un vero e proprio programma di assistenza, coprendo le mancanze

dello stato Bizantino.” (Krautheimer)

“Papa S. Cleto (Anacleto), morto martire nell’88 d.C., fu il primo a trasformare la sua dimora in ospizio, adattandolo al ricovero di ammalati e bisognosi. Ed il suo esempio fu imitato, tant’è che al tempo di Papa Leone III (795-816) erano operative nella sola Roma 24 diaconie, tra le quali “sanctae Luciae qui ponitur in xenodochium qui appellatur Anichiorum, sancti abba Cyri qui ponitur in xenodoxhium a Valeris, sanctorum Cosmae et Danuani qui ponitur in xenodochiurn qui appellatur Tucium”. Per la precisione le diaconie erano rivolte soprattutto ai bisognosi di assistenza materiale (dar da mangiare agli affamati), mentre per dare assistenza morale e sanitaria si andarono a realizzare gli xenodochia (il più antico, di cui si abbia notizia, è quello di Belisario, situato dove attualmente ha sede S. Maria in Trivio, vicino a Fontana di Trevi).” (Ruffino)

“Lo xenodochium è un termine greco-bizantino, che inizialmente indica un ospizio per stranieri, e successivamente un luogo di accoglienza per coloro che versano in stato di necessità.

Gli organismi assistenziali possono trovarsi sia all’interno che all’esterno di un monastero, sempre alle sue dipendenze e collocati lungo le vie del pellegrinaggio. Probabilmente dovevano essere costituiti da semplici stanze dove pellegrini, viandanti, poveri e malati potevano trovare una sistemazione. Nelle normative imperiali si incarica il clero di provvedere al mantenimento e al loro restauro. Ad esempio nell’Admonitio generalis si raccomanda l’istituzione di hospitia per ospiti di riguardo e per poveri e pellegrini: “perché il Signore stesso dirà, nel gran giorno della ricompensa: ‘ero straniero e voi mi avete accolto’”. (Daniele Lamberti)

“Numerosi documenti successivi alla fondazione di una struttura assistenzialistica prevedono la donazione ad essa di beni mobili ed immobili, evidentemente per consentirne il funzionamento; talvolta sono in primo luogo i committenti a dotarla di rendite, così che alcuni ospedali nel pieno Medioevo diventano economicamente autonomi, quando non dotati di consistenti patrimoni fondiari. Un caso altomedievale particolarmente interessante a questo proposito è quello dell'ospedale romano posto in Naumachia, fondato da Leone III e successivamente legato da Pasquale II al monastero delle Sante Agata e Cecilia”. (F.R. Stasolla)

“Degli xenodochia romani non sopravvivono, né sono documentate strutture, se non relative agli adiacenti edifici di culto. L'evoluzione degli xenodochia di Roma, così come ci è sembrato sulla base delle poche notizie di cui disponiamo, ripercorre con coerenza le vicende di Roma tra tardo antico e altomedievo. Sembrano potersi individuare alcuni momenti di profonda trasformazione: innanzitutto all'epoca della guerra gotica, con il passaggio di consegne, alla direzione della città,

tra la vecchia aristocrazia senatoria e il nuovo potere del papato. Anche il servizio assistenziale

segue questo processo, e vediamo gli xenodochia, che testimoniavano nel loro stesso appellativo

l' evergetismo delle nobili gentes del clarissimato, passare in gestione alla Chiesa, che d'ora in poi si preoccuperà in prima persona anche di incrementare il servizio con nuove fondazioni. È probabile che anche i servizi assistenziali abbiano usufruito dell'instancabile opera organizzatrice di Gregorio Magno, anche se è facile correre il rischio di sopravvalutare il suo operato, abbagliati dall'improvvisa disponibilità di una eccezionale e ricchissima fonte quale è il suo Epistolario.

Di certo gli xenodochia risentono della crisi della prima metà dell'VIII secolo, dalla quale escono malconci, diruta et inordinata. Con il IX secolo nuove forme di assistenza prendono

il predominio, e gli xenodochia vedono progressivamente perdere la loro funzione. Anche in questo campo, l'età carolingia si qualifica come momento di cerniera tra le ormai esauste strutture ereditate dalla città tardo antica e il nuovo assetto della città medievale.” (Santangeli Valenzani)

“I Longobardi (etimo: dalla lunga barba) furono una popolazione germanica, protagonista tra il II e il VI secolo di una lunga migrazione che la portò dal basso corso dell'Elba fino all'Italia. Entrati a contatto con il mondo bizantino e la politica dell'area mediterranea, nel 568, guidati da Alboino, si insediarono in Italia, dove diedero vita a un regno indipendente che estese progressivamente il proprio dominio sulla maggior parte del territorio italiano continentale e peninsulare.

Nel corso dei secoli, i Longobardi, inizialmente casta militare rigidamente separata dalla massa della popolazione romanica, si integrarono progressivamente con il tessuto sociale italiano, grazie all'emanazione di leggi scritte in latino (Editto di Rotari, 643), alla conversione al cattolicesimo (fine VII secolo) e allo sviluppo, anche artistico, di rapporti sempre più stretti con le altre componenti sociopolitiche della Penisola (bizantine e romane). La contrastata fusione tra l'elemento germanico longobardo e quello romanico pose le basi, secondo il modello comune alla maggior parte dei regni latino-germanici altomedievali, per la nascita e lo sviluppo della società italiana dei secoli successivi.” (Wiki)

“Le origini del dominio temporale dei papi possono essere considerate di fatto con la progressiva dissoluzione del potere bizantino in Italia centrale e la costituzione del Ducato romano (ultimi decenni del VI secolo); la figura del papa venne prima ad affiancarsi, poi a sostituirsi, a quella del dux di nomina imperiale. Nell'Urbe e nell'Agro romano i papi subentrarono ai suoi poteri, in primis nell'esercizio della giustizia di appello, nella riscossione delle imposte, nella possibilità di imporre la fedeltà politica e l'aiuto militare ai vassalli loro sottoposti. In seguito, alla caduta dell'Esarcato d'Italia e alla fine del dominio dell'Impero bizantino sull'Italia centro-settentrionale, i papi divennero pienamente possessori di poteri sovrani nell'Italia centrale. Furono invece di diritto le donazioni carolinge; oltre a esse, la Donazione di Sutri (728), la Promissio Carisiaca (754 e 774)

e la Constitutio Lotharii (824) furono altrettante basi fondanti dello Stato Pontificio.

La debolezza della classe senatoriale, decimata dalle guerre gotiche ed emigrata in gran parte a

Costantinopoli, la lontananza da Roma dell'esarca che manteneva la propria residenza a Ravenna e, non ultimo, il prestigio personale di alcuni grandi papi, fecero sì che il pontefice divenne, di fatto, la massima autorità civile del Ducato romano. Gli imperatori bizantini lo percepirono in alcuni casi come un contropotere rispetto a quello ufficiale dell'esarca. Per quanto riguarda la difesa della città, il pontefice promosse la creazione di una milizia locale (exercitus), costituita inizialmente dalle scholae (corporazioni che radunavano i residenti di varie nazionalità), dalle corporazioni di mestiere e dalle associazioni rionali. La milizia, insieme al clero e al populus (i capi delle grandi famiglie) ottenne il diritto di partecipare alle elezioni papali.

Da papa Bonifacio V (625) ogni pontefice, dopo l'elezione, si rivolse direttamente all'esarca per ottenere l'approvazione imperiale. Papa Zaccaria fu il primo pontefice a non chiedere conferma della propria elezione né a Ravenna né a Costantinopoli. ”. (Wiki)


VII Sec. Tre inondazioni del Tevere

618 Terremoto

Trasformazioni nel Campidoglio.

VIII Sec. Numerosi restauri di papa Adriano I

Diffusione dei campanili.

791 Inondazione del Tevere

Popolazione ≃ 40.000


“Durante il VI e VII Secolo era frequente che anche dimore private fossero ricavate nei monumenti

pubblici in rovina; prese consistenza l'uso di seppellire i morti dentro la città, contravvenendo alla

legge romana; non sporadicamente o furtivamente, ma in sepolture qualificate e corredate da

iscrizioni. Il collasso della città antica sembra ormai compiuto e per quasi due secoli non ci sarà

riqualificazione urbana. Viene meno una società complessa ed evoluta, sostituita da una impotente

e primordiale che vive tra i resti dell'antica città ma in condizioni non più cittadine. (…)

Decadenza o trasformazione? Cassiodoro non lamenta una situazione catastrofica, un certo decoro imponeva un controllo ed una cura degli edifici in uso, cercando di tenere sgombre le strade da macerie e immondizie; inoltre Teodorico regolava per legge lo smontaggio dei monumenti antichi, oramai diventati cantieri. La ridotta popolazione ha interesse a mutare i criteri di gestione e uso della città, riorganizzando l'insediamento all'insegna della comodità, delle opportunità e del risparmio.” (Delogu) L'impianto topografico è grosso modo ancora quello imperale e le strade mantengono lo stesso nome latino.

I rischi legati ai roghi, accidentali o deliberatamente provocati (specie dai saccheggiatori),costituivano ancora una delle minacce più gravi al regolare svolgimento delle attività e alla

sopravvivenza della comunità urbana, e l'azione spontanea

dei popolani era incentrata quasi esclusivamente sull'improvvisazione. Nel periodo alto-medievale prevaleva un atteggiamento fatalistico e di sfiducia, in quanto le calamità e i roghi di vasta portata venivano identificati per lo più come castighi divini. Significativa in tal senso è la cronaca secondo la quale, nell'anno 847, durante l'incendio verificatosi nel quartiere di Borgo, fu papa Leone IV ad intervenire personalmente per domare le fiamme, sulle quali gettò i propri paramenti sacri provocandone l'estinzione. Altro "metodo" per scongiurare o affrontare gli incendi e i disastri era quello di portare in corteo le spoglie del santo protettore o altre reliquie e simulacri. Questi elementi testimoniano il senso d'impotenza delle genti del Medioevo di fronte ad eventi di quel tipo e il loro rifugiarsi

all’interno di un atteggiamento passivo, che concorse ad impedire la presa di coscienza necessaria a dare impulso a organizzazioni in grado di fronteggiare le sventure legate al fuoco. Nell'VIII secolo Carlo Magno iniziò a ripristinare un sistema organizzato di prevenzione ed estinzione degli incendi:

pur non eguagliando ancora l'efficacia della militia vigilum d'epoca imperiale, fu il primo serio tentativo di ripristinare un servizio la cui assenza si era fatta pesantemente sentire. (vigilfuoco)

Nel primo decennio del VII secolo si rileva un importante intervento: non si tratta di una nuova costruzione, ma della trasformazione del Pantheon in edificio di culto cristiano, con dedica alla Vergine e ai martiri, ad opera di Bonifacio IV, per concessione dell’imperatore Foca. L’occupazione cristiana nel 609 dell’antico tempio fu prima di tutto un atto di grande rilievo politico, in secondo luogo ebbe anche una rilevante valenza urbanistica in quanto Santa Maria ad Martyres venne a costituire un polo importante nel Campo Marzio che nel medioevo aveva la massima concentrazione abitativa della città. Nel 735 Gregorio III fece ricoprire la cupola con lastre di piombo in luogo di quelle di bronzo asportate nel 655 dall’imperatore Costante II. Il Pantheon, una volta consacrato al culto cristiano, deve essere stato per molto tempo l’unica grande chiesa situata nella parte orientale del quartiere che poi divenne il centro della città.” (Lonardo)

“Nell'ottavo Secolo papa Adriano I s'impegnò in numerose opere edilizie e sociali, restituendo a Roma quell'aspetto di monumentalità che l'aveva caratterizzata nel periodo dello splendore imperiale. Tra le opere principali: la ristrutturazione degli argini del Tevere che un'inondazione nel 791 aveva danneggiato, il restauro di alcuni degli antichi acquedotti romani, con una più capillare distribuzione idrica nella città, e la ristrutturazione delle mura, con nuove e più adeguate fortificazioni. Notevoli e numerosi i suoi provvedimenti nel campo dell'edilizia religiosa: la basilica di San Pietro e il suo campanile, con interventi sia esterni che interni non solo di pura edilizia ma soprattutto di arricchimento e miglioramento artistico (statue, mosaici, ecc.), con abbondante (ri)utilizzo di materiali pregiati. “A partire dal secolo VIII un’intensa attività edilizia interessò l'area del Laterano, che si venne via via costellando di monasteri, di cappelle e oratori (S. Silvestro,

S. Tommaso, S. Nicolò, S. Venanzio, S. Lorenzo, SS. Salvatore), di abitazioni, mulini, cisterne, botteghe, locande e ospizi per i pellegrini e abbeveratoi per animali (alimentati dal vicino acquedotto neroniano riparato intorno al 1120), tanto che nel sec. XII il Patriarchìo era ormai l'epicentro di un borgo abbastanza consistente.” (F.A. Angeli) Altri vecchi templi pagani furono trasformati in chiese: S. Nicola dei Cesarini, nell'area sacra di Torre Argentina; S. Nicola in carcere, presso i templi del foro olitorio; S. Maria Nova, sul colle della Velia; Santa Maria Egiziaca nel Tempio di Portunus; S. Lorenzo in Miranda nel Tempio di Antonino e Faustina; S. Silvestro in Capite nel Tempio del Sole; S. Omobono nei templi gemelli di Fortuna e Mater Matuta, sotto la rupe Tarpea.” (Wiki)

Con papa Pasquale I furono inoltre ricostruite le basiliche di S. Maria in Domnica e di S. Cecilia in Trastevere. Roma stava diventando la città dalle mille chiese.


IX Sec. Quattro inondazioni del Tevere

801, 847 o 849 Terremoti, il secondo molto forte.

848-852 Costruzione delle Mura Leonine

846 Incursioni dei Saraceni


“Dall'alleanza coi Franchi il papato trasse certamente due vantaggi: sicurezza del dominio e nuove fonti di reddito. La sostituzione dei re bizantini con quelli carolingi liberò i territori dalla minaccia sempre incombente di una rivincita longobarda. (…) L'esercizio della giurisdizione produceva tributi, pedaggi, diritti di zecca, multe, confische, cui si aggiungevano i redditi delle numerose proprietà fondiarie incamerate dalla Chiesa romana in tutto il Lazio. La combinazione di questi cespiti rese possibile la straordinaria attività di riorganizzazione e abbellimento dell'impianto urbanistico e monumentale iniziata da Adriano I e Leone III. Si realizzarono il restauro delle chiese fatiscenti, il ripristino delle mura e degli acquedotti; il potenziamento del complesso lateranense; le infrastrutture della viabilità e dell'accoglienza intorno a S. Pietro; l'abbellimento di tutte le chiese con lampade e vasi d'oro e d'argento e con tessuti preziosi. Parliamo di ottomila chili d'argento e più di mille chili d'oro, e inoltre duemila pezze di tessuti e broccati, che all'epoca valevano quanto i

metalli preziosi.” (Delogu)

“Grazie alla collaborazione con i funzionari archeologi della Soprintendenza di Roma, della Provincia e del Comune, nel corso degli anni sono state acquisite informazioni sulle tracce archeologiche di terremoti del passato, nello specifico per il periodo compreso tra il V e il IX secolo d.C. In particolare, dalle stratigrafie archeologiche emerge che probabilmente a causa dell’elevata vulnerabilità degli edifici – di età plurisecolare, spesso senza manutenzione per secoli o privi di parti originarie per la prassi della spoliazione – lo scuotimento sismico ha contribuito in misura non trascurabile ai cambiamenti del paesaggio urbano, alimentando la formazione di contesti ruderali o comunque degradati. In sostanza, proprio per l’elevata vulnerabilità dei fabbricati è possibile che gli effetti dei terremoti del passato siano stati superiori a quelli meglio noti dalle fonti storiche relative ai terremoti più recenti (es. 1703 e 1915). Le fonti scritte citano cinque terremoti per il periodo compreso tra il V e il IX secolo. Per alcuni di questi eventi, ad esempio quello avvenuto nel 443d.C., sono menzionati danni nell'Urbe. Al contrario, non sono riportati danni in riferimento al terremoto dell’847. In quest’ultimo caso le stratigrafie archeologiche completano l’informazione storica, permettendo di ipotizzare che danni consistenti abbiano interessato l’attuale settore centrale di Roma proprio in occasione di questo evento. Si può vedere che nel caso citato l’archeologia porta un arricchimento sostanziale delle conoscenze sugli effetti dei terremoti del passato. Questo aspetto è fondamentale, se si considera che proprio sulla storia sismica di un territorio si basano le stime di pericolosità, cioè quelle valutazioni che consentono di definire la probabilità di occorrenza di un certo tipo di scuotimento sismico in un dato intervallo temporale.

Certamente i collassi – spesso verticali – di interi edifici sono gli effetti più sorprendenti, considerando che si tratta dell’attuale centro storico di Roma. Questa dinamica di crollo è riscontrabile sia per l’edificio nei sotterranei di Palazzo Spada, sia per la struttura di pertinenza di un’aula del Foro di Traiano rinvenuta nel corso degli scavi Metro C di piazza Madonna di Loreto, sia per le cosiddette “Piccole Terme” nei sotterranei del Palazzo Valentini.

Gli scavi degli ultimi anni hanno portato alla luce veri e propri cumuli di macerie legate al crollo improvviso di fabbricati ancora in uso al momento della distruzione, in un quadro generale per cui è difficile ipotizzarne la fine per inconsistenza strutturale. Rispetto a queste imponenti unità di crollo, gli effetti dei terremoti del passato tradizionalmente associati a monumenti esposti e fruibili come il Colosseo, il tempio di Marte Ultore, quello di Venere Genitrice o quello di via delle Botteghe Oscure sono meno immediatamente definibili.

I forti eventi sismici che hanno interessato Roma fin dall’Antichità hanno avuto un notevole impatto nell’evoluzione delle forme dell’anfiteatro. E’ noto che il Colosseo forse subì danni nel 443 e certamente poco prima del 484 o del 508. Sappiamo, dagli studi archeologici di Rossella Rea, che quest’ultimo evento sismico provocò il crollo parziale del colonnato del portico nella summa cavea; in particolare, la caduta di una ventina di colonne comportò la distruzione dei settori nord-est e sud-est; un’altra porzione del colonnato crollò nel settore occidentale. I restauri riguardarono l’arena e il podio, come si può evincere dalle iscrizioni gemelle poste all’ingresso del monumento.

Il Colosseo però subì danni ingenti anche in occasione dei terremoti successivi. Per esempio, nel 1349 si ebbe il collasso delle arcate esterne nel settore meridionale. In sostanza, quanto noi oggi vediamo è in parte il risultato dei danni sismici.” (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia)

“Credendoli finalizzati alla propria autonomia, il popolo romano sosteneva gli sforzi del papato, ma

divenne il suo peggior antagonista una volta che il pontefice ricorse a poteri stranieri per regolare

l'ordine nella città. Le nuove famiglie aristocratiche come i Crescenzi e i Tuscolani controllavano l'istituzione pontificia, governando con essa. Questi nuovi senatori, dal tipo di vita strettamente militare, giocavano con le alleanze matrimoniali al fine di mantenere la coesione dei lignaggi.” (Vauchez)

Il Colosseo, di proprietà dei Frangipane, era abitato da centinaia di persone che vivevano in promiscuità e insieme agli animali. Nascevano i nomi nuovi del popolino, spesso legati a nomignoli sarcastici, come ad esempio i Collotorto, i Cinquedenti, i Boccapecora, i Centoporci, i Cortabraca.

In questi anni si assiste ad un progressivo abbandono delle zone del Foro a favore di quelle del Campo Marzio, nell'ansa del fiume.” (Vincenzo RG)

Già nell'830 pirati saraceni avevano devastato le aree abitate della campagna romana, giungendo fino alle basiliche di San Pietro e San Paolo e penetrando fino a Subiaco, dove vennero distrutti l'abitato e il Monastero. Sedici anni dopo l'attacco fu ripetuto, con maggiore violenza: nella notte tra il 24 e il 25 agosto dell'846 i pirati saraceni, dopo aver attaccato e saccheggiato Centumcellae, Porto e Ostia, si spinsero fino a Roma.

Non riuscendo a penetrare all'interno delle mura cittadine, distrussero e depredarono i dintorni della città saccheggiando per la seconda volta le basiliche di San Pietro e San Paolo. San Pietro era difesa da una guarnigione di soldati composta da Franchi, Longobardi, Sassoni e Frisoni che, nonostante un'accanita resistenza, venne completamente sterminata.

Nell'anno 849 si seppe che i saraceni stavano allestendo una nuova flotta che avrebbe attaccato nuovamente Roma. In questa occasione Gaeta, Napoli, Amalfi e Sorrento misero a disposizione le proprie navi, le quali si posizionarono tra Ostia e la foce del Tevere. Condotta da Cesario, la flotta andò all'attacco appena vide all'orizzonte le vele delle navi nemiche sbaragliandole e facendo molti prigionieri. Durante lo scontro, definito come battaglia di Ostia, molte navi saracene furono affondate mentre le restanti, anche a causa di un'improvvisa tempesta, fuggirono. (Wiki)

Di monasteri ormai se ne cita più di una quarantina, ma di essi v’era in Roma un numero assai

maggiore. In vicinanza del san Pietro s’ergevano cinque conventi, ed erano quelli di Stefano

Maggiore o Protomartire (detto anche di Catagalla Patrizia), di Stefano Minore, di Giovanni e

Paolo, di Martino e il chiostro di Gerusalemme. In prossimità del Laterano si menzionano: Pancrazio, Andrea e Bartolomeo col nome di Ilonori che è già cognito all’Anonimo di Einsiedeln,

Stefano, e un convento di monache dal nome di Sergio e Bacco. Presso a santa Maria Maggiore erano questi conventi: Andrea, detto anche di Catabarbara Patrizia che forse è identico di quello di Andrea in Massa Juliana; Cosma e Damiano, Adriano, detto anche di san Lorenzo. Tutti avevano l’addiettivo ad Praesepe. Vicino al san Paolo fuor delle porte, stava il convento di Cesario e Stefano col soprannome ad quatuor angulos; prossimo al san Lorenzo fuor delle porte, era quello di Stefano

e Cassiano. Altri monasteri romani erano i seguenti : Agata super Suburram, Agnese fuor di porta

Nomentana, Agapito presso il Titolo di Eudossia, Anastasio ad Aguas Salvias, Andrea nel Clivus

Scauri, Andrea presso i santi Apostoli, Bibiana, Crisogono nel Transtevere, un convento presso il

Caput Africae, il chiostro de Corsas o Caesarii nella via Appia, il convento de Sardas probabilmente

situato presso al san Vito, Donato in vicinanza alla santa Prisca sul monte Aventino, Erasmo sul Celio, Eugenia fuor di porta Latina, Eufemia e Arcangelo in prossimità alla santa Pudenziana, il convento duo Furna probabilmente in Angone nell’odierna piazza Navona, Isidoro che era forse sul monte Pincio, Giovanni sull’ Aventino, il convento de Lutata, quello detto Laurentius Pallacìni in vicinanza al san Marco, il convento appellato Lucia Renati, in Renatis o de Setenatìs, Maria Amòrosii che è probabilmente lo stesso di quello chiamato Ambrosii de Maxima nel Forum Riscarium, Maria Juliae nell’ isola Tiberina. Vi erano inoltre : un convento di monache dedicato a Maria in Campo Marzo e 1’altro di Maria in Capitolio, i quali due, sebbene non menzionati nel catalogo delle fondazioni di Leone III, erano a quel tempo per certo di già fondati: Michele, ignoto; il chiostro Tempuli Silvestro (de Capite), santo Saba o Cella Nova, il convento Semitrii, ignoto ; quello di Vittore presso san Pancrazio nella via Àurelia.

In quell’età non s’ erano ancora costituite le venti abbazie, che più tardi sorsero dai conventi venuti a numero sì grande da renderne difficile il conto. La loro copia crebbe ognor più, e sulla fine del secolo decimo affermavasi che in Roma v’aveva venti conventi di monache, quaranta di frati e sessanta di canonici ossiano preti viventi sotto regola claustrale.” (Gregorovius)


X-XI Sec. Tre inondazioni del Tevere

1044 Terremoto

1084 Sacco dei Normanni di Roberto il Guiscardo.

Pop. Urbe >40.000 – Italia ≃ 8.000.000 – Europa ≃ 40.000.000


Nei Secoli X e XI Roma era sprofondata nel suo periodo più buio: pontificati della durata di un paio di settimane (49 Papi in due Secoli), congiure, assassinii, resero la città mal governata e teatro di crimini sanguinosi.

Guglielmo di Malmesbury, rivolgendosi a papa Gregorio VII non ha peli sulla lingua: “Cosa c’è nella città di Roma un tempo sede della santità? Nel Foro vagano sicari e tutto quel genere di uomini infidi e inclini al male. Adesso sul sepolcro dei santi si vanno a ubriacare?”

Bernardo da Chiaravalle, abate e teologo francese dell'ordine cistercense, era dello stesso avviso.

L'espressione saeculum obscurum fu coniata in tempi moderni per caratterizzare come cupo e

disastroso il periodo della storia del papato che va dall'888 (quando l'autorità imperiale venne meno,

gettando l'Europa nel caos politico) al 1046 (cioè l'inizio della riforma gregoriana), con rare

eccezioni, come quella di papa Gerberto di Aurillac (Silvestro II, primo papa francese) che insieme

all'imperatore Ottone III - duramente osteggiati dai Crescenzi - cercò di porre un freno a simonia

(il commercio peccaminoso di beni sacri) e nicolaismo (l'atteggiamento di opposizione al celibato

ecclesiastico), frequenti nella Chiesa di fine millennio.

“Nella Roma del Mille, i ricchi erano pochi ed i poveri molti, e questi ultimi sopravvivevano grazie

alle elemosine dei primi, che le donavano ai poveri solo per paura di finire all’inferno e per salvarsi

l’anima”. (Krautheimer)

“Col termine Romei s'indicavano, in età medievale, i pellegrini cristiani che da ogni parte d'Europa si recavano a Roma per venerare nella sua basilica il sepolcro di Pietro e la basilica in cui erano sepolte le spoglie di Paolo. La via più nota da essi percorsa era la via Francigena che, da oltralpe, attraversava di preferenza il passo del Monginevro per poi intraprendere il cammino verso la Città Eterna. Se il più antico resoconto d'un pellegrinaggio a Roma viene datato al 990, la pratica di recarsi a visitare luoghi santi della Cristianità risale a molto tempo prima.” (Wiki)

“Immenso era ancora il numero di edifici antichi, magnifiche rovine che mostravano ad ogni passo delle generazioni dei vivi la grandezza del passato, la meschinità del presente. (…) I pontefici, che in un primo tempo avevano considerato i monumenti proprietà dello Stato, presto non ebbero più né voglia, né tempo, né potere sufficienti per curarsi della loro esistenza.

Ai Romani fu concessa libertà di saccheggio; i preti trascinavano colonne e marmi nelle loro chiese, nobiltà e clero costruivano torri su splendidi monumenti antichi, gli artigiani aprivano nelle terme e nei circhi fucine, filande e botteghe. Quando il pescatore, il macellaio o il fornaio esponevano la loro merce, questa si presentava su lastre di marmo ove un tempo assisero i dominatori del mondo. Sarcofaghi erano sparsi dappertutto e usati come serbatoi d'acqua, mastelle per il bucato, trogoli per i maiali. Il desco di un calzolaio o del sarto era il cippo di un illustre Romano o una lastra alabastrina su cui nobili matrone un tempo spargevano le loro gemme. Su tutte le piazze, per tutte le vie, lo sguardo cadeva su opere d'arte ancora erette, oppure cadute o mutilate. (...)

Ma la capacità di apprezzare l'arte era andata perduta, e gli stessi Romani consideravano tutto ciò come materiale da costruzione. Da secoli Roma era un'immensa cava, dove si gettavano i marmi

più splendidi per fonderli e ricavarne calcina. Tutti saccheggiavano e distruggevano Roma Antica, sfasciavano, frantumavano, bruciavano, trasformavano, senza mai riuscire tuttavia a darle fondo.

I palazzi imperiali del Palatino erano ancora visibili, colossali rovine folte di sculture d'ogni specie. Parecchie sale avevano ancora alle pareti preziosi rivestimenti, altre erano adorne di tappezzerie intessute d'oro, stanze da letto con le pareti rivestite di sottili lamine d'argento e piombo. Il colle Palatino doveva essere allora scarsamente abitato, poiché vi sorgevano solo poche e piccole chiese. Il maestoso Settizonio, proprietà del convento di San Gregorio era già stato trasformato in fortezza. I monaci di quel cenobio possedevano anche l'arco di Costantino, già sopraelevato e trasformato in torre. (…) Il Circo Massimo ed il Colosseo, benchè maltrattati dalle intemperie, conservavano gran parte dei muri esterni e delle file di sedili. Ovunque templi, portici, basiliche erano sparsi in grandiosa desolazione. Il Romano del X Secolo si aggirava fra resti senza numero: colonne, architravi e figure marmoree, e di fronte a quella solitudine affollata di leggende, a quella frantumata maestà, doveva provare una commozione inesprimibile. Un profondo silenzio copriva i Fori Imperiali. Il Foro di Augusto era ridotto a un tale ammasso di rovine e di alberi che il popolo lo chiamava Hortus mirabilis. Sopra le maestose rovine delle biblioteche e delle basiliche Ulpie si ergeva ancora, fermissima, la colonna Traiana. (…) Campo Marzio era un mondo di meraviglie mezzo sepolto dalle macerie. Vi abitavano, sotto le buie volte delle rovine, uomini in condizioni miserrime. Sui mucchi di detriti essi piantavano il cavolo e la vite.

Dai cumuli di pietre si formavano vicoli che conducevano a chiese, dalle quali traevano origine e nome. Nel Campus Agonale, l'odierna Piazza Navona, sui marmi dello Stadio di Domiziano era stata già costruita più di una chiesa: su un lato la diaconia di Sant'Agnese in Agone; di fronte la parrocchia di Sant'Apollinare, eretta probabilmente sulle rovine del Tempio di Apollo; anche il convento di Sant'Eustachio aveva delle proprietà in questa regione.” (Gregorovius)

Dal tempio circolare di Ercole Vincitore venne ricavata la chiesa di S. Stefano Rotondo, poi rinominata S. Stefano delle Carrozze per non confonderla con l'omonima chiesa del Celio e quindi Santa Maria del Sole. E tutt'intorno prati e vigneti a perdita d'occhio, fino alle grandi mura diroccate all'estremo Est.

“Pasquale II, primo papa dopo quindici anni a risiedere stabilmente a Roma, restaurò e ricostruì ad un livello più alto diverse chiese dell'Urbe. In particolare la basilica dei SS. Quattro Coronati, distrutta nel Sacco dei Normanni. La basilica paleocristiana di S. Clemente, fu interrata e ricostruita ad una quota più alta di circa 4 metri. Inoltre si provvide il rialzamento di 2-4 metri di molti dei livelli stradali più frequentati della città, comprese le aree adiacenti.

A Pasquale II si deve però la distruzione del Mausoleo dei Domizi - Enobarbi, che ancora accoglieva i resti dell'imperatore Nerone, da lui - in virtù della storiografia cristiana antica - considerato un anticristo con il falso potere di risorgere; al posto del sepolcro distrutto fu eretta una cappella, nucleo originario della Basilica di Santa Maria del Popolo”. (Wiki)

A livello archeologico si assiste in varie zone della città all'abbandono degli insediamenti sorti nel IX e nel X secolo, rapidamente obliterati da potenti strati di interro, tanto che le insulae venivano abitate dal primo piano in su. L'anno 1000 rappresenta realmente uno dei momenti cruciali attorno

a cui si organizza la vicenda delle trasformazioni topografiche e urbanistiche della città e può essere

considerato il punto d'avvio del processo di formazione della città bassomedievale e rinascimentale, la cui struttura urbana, nonostante le devastazioni del XIX e XX secolo, è ancora alla base della città di oggi.” (Meneghini-Santangeli)



XII Sec. 1143 nasce il Comune di Roma.

Due inondazioni del Tevere.

Ricostruzioni/interramenti di papa Pasquale II.

Costruzione di torri baronali e fortificazioni.

XIII Sec. Due inondazioni del Tevere

Ristrutturazione di molte chiese. Si diffonde l'immagine del crocefisso.

1231 Terremoto


“Durante la prima metà del XII Secolo le insistenti spinte autonomistiche cittadine portarono alla renovatio Senatus, ossia al rinnovamento dell'antica istituzione del Senato, ricreato dal popolo romano nel 1143, in opposizione al potere del papa, delle gerarchie ecclesiastiche e delle grandi famiglie. La nuova assemblea si componeva di 56 membri (forse 4 per ogni rione cittadino). Il nuovo organismo, cercò di ritagliarsi un ruolo nella contesa tra papato e impero, ma era privo di un effettivo potere.

Il Palazzo Senatorio in Campidoglio divenne il municipio della città, il più antico al mondo.

Nacquero i Rioni, i quali portavano i nomi delle contrade rappresentative: Monti, Trevi, Colonna,

Campo Marzio, Ponte, Sant'Eustachio, Regola, Parione, Pigna, Sant'Angelo, Ripa, Campitelli e Trastevere. In questo contesto Arnaldo da Brescia fu una figura emergente della renovatio Senatus come riformatore religioso di notevole eloquenza e con una forte avversione per l'istituzione tradizionale ecclesiastica; egli si pose quindi a guida del movimento antipapale e autonomistico romano.” (Wiki)

La riapertura della zecca per iniziativa del senato cittadino alla fine del XII secolo e l’aumentata circolazione monetaria rappresentarono per la città un evento importante”. (A. Molinari)

L'evoluzione politica della Chiesa rinforzò il potere (specie economico) dei Cardinali e quindi

delle loro famiglie e delle loro clientele, che si arricchirono enormemente; questo fenomeno provocò l'emergere di un nucleo ristretto di lignaggi, quello dei Baroni, che si distaccarono dal resto

dell'aristocrazia e per più di un secolo dominarono la città e lo Stato Pontificio.” (Vauchez)

Roma in epoca comunale diventa turrita e fortificata, ma anche ricca di chiese e conventi. L'affermarsi delle ricche famiglie baronali, spesso in guerra fra loro, aveva ridefinito il potere nella città. Tracotanza e soprusi disegnano una città parallela, che vive di clientelismo, violenza e corruzione: nel XIII Secolo acquistavano potenza gli Orsini, i Savelli, i Cenci e i Colonna, poi c’erano i Conti, gli Annibaldi, i Caetani, i Mattei. (Thomas)

“Queste famiglie avevano almeno una torre/fortezza per difendere le rispettive zone di influenza:

gli Orsini a Castel Sant'Angelo, i Colonna divengono padroni del Mausoleo di Augusto, i Savelli

del Teatro di Marcello, i Caetani della via Appia e gli Annibaldi di buona parte del Colosseo.

I Conti optano per la costruzione di due enormi torri, ancora oggi esistenti, attorno alle quali si

agglomerano altri edifici collegati da una alta muraglia difensiva. Altri rami degli Orsini e dei

Colonna decidono di costruire le loro fortezze sulle alture di Montegiordano e Montecitorio.

Nella maggior parte dei casi si collegano edifici già esistenti in modo da formare un blocco

fortificato chiamato castrum. Ancora, gli Orsini si appropriano anche di un'altra grande area: attorno

al Teatro di Pompeo nascono due potenti fortilitia, conosciute con i nomi di Arpacasa, vicina a

Campo de' Fiori e Pertundata, sul lato dell'odierna via Arenula. Questi due complessi avranno

un'unica cinta muraria e saranno dotati di altre tre torri. I castra hanno superfici paragonabili ai

villaggi fortificati baronali del Lazio e in caso di conflitti sono pronti ad accogliere centinaia di

uomini. Il 26 maggio del 1312 è ricordato per la cruenta battaglia fra Orsini e Colonna che vide

l'imperatore Enrico VII fermato prima di entrare nel Borgo.” (Vigueur)

Brancaleone degli Andalò, di nobile famiglia bolognese, fu nominato Capitano del popolo dal Comune di Roma per trovare le contromisure alla violenta anarchia dei Baroni.

Egli tenne testa agli Annibaldi e ai Colonna e si presume che fece abbattere ben 140 torri delle 300 che si ergevano sulla città e rinpinguò le casse comunali esigendo tutte le tasse arretrate. Il simbolo dell’arroganza baronale veniva così decisamente colpito. Brancaleone morì in circostanze misteriose a 38 anni.

I Mirabilia Urbis Romae, facenti parte della letteratura periegètica (il periegèta presso gli antichi greci era la persona incaricata di guidare i forestieri nella visita di templi e monumenti), erano l'equivalente delle moderne guide di viaggio, che servivano ai pellegrini che si recavano a Roma e li guidavano per tutto il percorso. I primi Mirabilia nascono nel XII secolo, sono manoscritti e rimarranno tali fino al Barocco, quando inizieranno ad essere stampati.

Tante sono le torri e i campanili da sembrare spighe in un campo di grano, tante le costruzioni dei palazzi che a nessun uomo riuscì mai di contarle”. Questo scriveva mastro Gregorius, un colto

inglese di Oxford, contemplando la grande città da monte Gaudio (Monte Mario) nel XIII Secolo.

L'Urbe è protetta da una possente cinta muraria lunga quasi 10 leghe (20 Km.) e alta 3 pertiche

(6 metri). Vi si accede attraverso diciotto porte, alcune di aspetto monumentale, e nel suo perimetro si contano trecentottantuno torri di guardia. Queste mura, dette aureliane, a Ponente seguono il fiume cingendo il rione di Transtevere fino a porta San Pancrazio; a Oriente, con un percorso ondeggiante, corrono su tre colline parallele: il monte Cavallo o Quirinale, il monte Viminale e il monte Esquilino; i primi due, poco abitati, sono tenuti a vigne e orti, e si incontrano sovente ruine di antiche fabbriche invase dalla natura: prime fra tutte per grandiosità le terme Diocleziane. Sull'Esquilino si erge la basilica di Santa Maria Maggiore, seguita da un vicus che scende verso la piana, sotto due montagnole, l'Oppio e il Fagutale, fino alla Suburra.

Sulla riva destra del Tevere dominano la vista Castel Sant'Angelo e la basilica Sancti Petri con il suo Borgo, protetti dalle mura leonine; più giù, come detto, l'affollato rione di Transtevere e alle loro spalle un irto colle, il Gianicolo. Proprio davanti al rione transteverino sta l'isola di San Bartolomeo.

La riva sinistra e la regione retrostante sono dette in Campo Marzio: una grande piana disegnata

dall'ansa del fiume che è la parte più abitata dell'Urbe. È una ragnatela di contrate, ove si trovano

opere magnifiche come la colonna Antonina, la chiesa di Santa Maria della Rotonda e la Platea

Agonis, su quello che era lo Stadium di Domiziano. Emergono le torri baronali: Tor dei Millini,

Tor Sanguigna, Torre del Papito, Torre Colonna e numerose altre.

Il limite orientale del Campo Marzio è la via Lata, una lunga strada dritta che taglia la città. Dalla porta Flaminia essa arriva alla basilica di San Marco fin sotto al Capitolio, ovvero l'altura a dirupo con le rovine del tempio di Giove, il palazzo senatorio e il monastero di Santa Maria in Capitolio. Ai suoi piedi si erge la colonna Traiana, con la minuscola chiesa di San Niccolò de Columna e la contrata di campo Carleo. Dietro al Capitolio affiorano le rovine del Foro Romano, oramai espoliato dei marmi in quanto fangoso e per buona parte lasciato a pascolo. Rimangono solo i suoi archi trionfali mezzo sepolti e qualche statua mutilata fra le ruine. Adiacente v'è il caseggiato detto in campo Torrecchiano per le torri baronali che anche lì sorgono. E ancora orti e vigneti, di proprietà delle chiese e dei monasteri vicini.

Lasciati indietro il Foro e la collina della Velia ecco il Coliseo, maestoso anfiteatro di travertino, il più grande che si possa vedere al mondo. Ora è un'insieme di abitazioni ricavate nelle cavee e negli ambulacri e il resto cava per materiale da costruzione.

Meridionali al Coliseo tre modeste alture: il monte Palatino, un tempo dimora degli imperatori, il monte Aventino e il monte Celio, dove tra prati e vigne sorgono le prime storiche basiliche dei martiri cristiani. Il Campus Lateranensis, con le sue fabbriche, situato sulla propaggine orientale del

Celio, è la residenza papale; attorno si è formato un vivace borgo abitato, una città nella città.

Non lontani s'incontrano l'Acquedotto Claudio e la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, dove sono conservate le sacre reliquie della Passione”. Sebbene questa si trovi dentro le mura è l'estremo

opposto al Campo Marzio; il papa per recarsi al Vaticano impiegava quasi due ore di viaggio in carrozza. Quando si va in processione da San Pietro fino a San Giovanni in Laterano si segue il

vecchio itinerario che scorre lungo la via Papalis:

Dal Ponte Elio si passa per la Via dei Banchi Vecchi e la Via del Pellegrino fino al gruppo degli edifìzì Pompeiani, poi per il Circo Flaminio sino al piè del Capitolio. Dopo l'arco di Severo, l'itinerario passa per il Foro Romano e la Sacra Via: restano a destra le chiese di S. Maria antiqua e S. Teodoro, a sinistra quelle di SS. Cosma e Damiano e di S. Pietro. Quest'ultimo nome si deve separare senza dubbio dal seguente ad vincula,e deve intendersi la chiesuola dei due apostoli Pietro e Paolo in silice, fondata già nel VI secolo dinanzi il tempio di Venere e Roma, ma scomparsa quando ivi presso venne fondata la basilica di S. Maria Nova. (Itinerario di Einsiedeln, IX Sec.)


XIV Sec. Cattività avignonese dei papi

Due inondazioni del Tevere

1349 Terremoto molto forte (scosse per 40 giorni)

1350 Epidemia


Clemente V, papa francese, decise di stabilire provvisoriamente la sede papale prima a Poitiers,

poi ad Avignone.

Ci vollero sei pontificati per il ritorno del papa a Roma; in quest'opera di convincimento fu molto attiva Caterina da Siena. Gregorio XI, nato Pierre Roger de Beaufort, fu l'ultimo dei papi di Avignone, poiché nel 1377 riportò a Roma la sede papale.

Tre quarti di Roma entro le mura è ancora dominata dal verde, le terre allagate o fangose sono ovunque e il pericolo della malaria è reale. L'area del Fori Imperiali tradisce nel toponimo

“i Pantani” la presenza di una vasta zona impaludata; il vecchio Foro Romano è sepolto e abbandonato. “I vari interramenti e ricostruzioni ad un piano più alto di strade ed edifici avvenuti

nei secoli precedenti hanno formato una stratificazione di diversi metri: il primo livello corrisponde al piano di posa delle eventuali lastre marmoree di pavimentazione (rimosse per farne calce) a cui viene sovrapposto un semplice battuto che tra la fine del V e gli inizi del VI secolo fu sostituito da un selciato formato da basoli di riutilizzo; salendo troviamo uno strato di riempimento del IX–X secolo, con il piano stradale in acciottolato. La quota rimane praticamente invariata per tutto l’altomedioevo e inizia a crescere lentamente solo a partire dai secoli centrali del medioevo sino a raggiungere il livello rinascimentale quando le vie vengono almeno in parte rivestite con basoli antichi di medie e piccole dimensioni preludendo quasi al moderno rivestimento a ‘sampietrini’

della Roma moderna”. (Meneghini)


XV Sec. Pop. >50.000

Tre inondazioni del Tevere

1450 Ricostruzioni/interramenti documentati

1480 Abbattimenti di Sisto IV, allargamento delle strade in campo Marzio


Martino V Colonna fu il primo papa che poté occuparsi di un rilancio di Roma anche in termini

monumentali e artistici. I primi cantieri a venire aperti riguardarono essenzialmente i due centri principali del Laterano e del Vaticano, dove venne trasferita la residenza papale (pur trascorrendo gran parte della sua vita da Pontefice nel palazzo di famiglia ai Santi Apostoli che provvide a restaurare profondamente), iniziando la trasformazione della zona oltre il Tevere da area periferica

a immenso cantiere. Il successore Eugenio IV continuò l'opera di rinnovamento rinascimentale della città con il ripristino di numerose basiliche. Ma fu con Niccolò V che le trasformazioni episodiche dei suoi predecessori assunsero una fisionomia organica, preparando il terreno agli ambiziosi sviluppi successivi. Si segnala una consistente migrazione di “maestri” costruttori lombardi, di grande competenza e abilità, menzionati negli archivi notarili del XV-XVI secolo.

Dopo aver ripristinato le mura leonine nonché quelle di Castel Sant'Angelo, il pontefice avviò i lavori per la costruzione di un nuovo acquedotto. Niccolò V era consapevole dell'importanza dell'approvvigionamento idrico della città: la fine della Roma antica veniva spesso spiegata con la distruzione dei suoi magnifici acquedotti, avvenuta del VI secolo da parte dei popoli barbari.

Nel Medioevo i romani dipendevano per la fornitura d'acqua da pozzi e cisterne, mentre i poveri sfruttavano le acque del Tevere. L'acquedotto dell'Aqua Virgo, originariamente costruito da Marco Vipsanio Agrippa nel I secolo a.C., venne restaurato. I romani poterono così attingere acqua fresca in un nuovo bacino, progettato da Leon Battista Alberti, che fu il predecessore della Fontana di Trevi. Il pontefice ordinò anche la costruzione di una fontana nella Piazza di Santa Maria in Trastevere, dove non esisteva più un punto di raccolta di acqua dall'antichità.” (Wiki)

Esiste un dipinto che raffigura il panorama di Roma nel XV Secolo, l'unico che conosciamo così grande e dettagliato da consentirci di avere un'idea visiva piuttosto nitida di come apparisse la città in quegli anni; eseguito da un anonimo, oggi è custodito al Palazzo Ducale di Mantova.


XVI Sec. Diffusione del Barocco romano

Sventramenti e distruzioni in varie zone, soprattutto nel Foro.

1514 Inondazione del Tevere

1527-28 Sacco dei Lanzichenecchi ed epidemia

1530 Inondazione del Tevere

1557 Inondazione del Tevere

1590 Carestia

1589 Inondazione del Tevere

1598 Inondazione del Tevere, crolla il Ponte S. Maria, oggi Ponte Rotto


La città, che nel XV Secolo aveva dato segni di rinascita, dovette poi pagare un enorme tributo alle guerre d'Italia di inizio XVI Secolo. Il sacco dei Lanzichenecchi del 1527-28, il più pesante sofferto dalla città, ed il contemporaneo scoppio della peste portarono alla morte di parecchie migliaia di persone fra soldati imperiali e popolazione. “Col sacco del 1527 la peste torna a Roma portata forse dagli spagnoli al seguito del Borbone. In circa due anni, tra le stragi dei lanzichenecchi e la peste, la popolazione di Roma passò da 55.000 a 30.000 abitanti. Forse però, in quegli anni ne ammazzò più la sifilide che la peste. In tutta Europa la sifilide fa strage: è tanta la repulsione per questo morbo, che ogni nazione ne attribuisce la causa alle nazioni nemiche. In Italia si chiama “mal francese”; in Francia “male italiano”; in Spagna “male tedesco”; in Turchia “male cristiano”; in Russia “mal dei polacchi”; nelle Fiandre “male spagnolo” e così via.” (Marcelli)

Durante l'inverno, per scaldarsi, fu bruciato tutto il legno esistente a Roma: porte, finestre, mobili, pavimenti. Assieme bruciarono carte, documenti, archivi e biblioteche. E' anche per questo motivo che le notizie di cui gli storici possono avvalersi per la conoscenza della città in epoca medievale sono scarne, se non del tutto assenti.

Le migliorie urbanistiche sotto papa Sisto IV Della Rovere videro la costruzione di nuove arterie

quali ponte Sisto, cui diede il nome, via dei Banchi e via dei Coronari e la ricostruzione di san

Vitale. Particolarmente grave l'opera di distruzione perpetrata tra il 1586 e il 1589 da papa Sisto V Peretti che, per la costruzione della sua villa sull'Esquilino, demolì, anche con l'ausilio di esplosivi,

i resti del calidarium nelle terme di Diocleziano, rapportabili a circa 100.000 m³ di materiale.

A partire dalla metà del XVI Secolo, terminate la guerra e l'epidemia, i vari pontefici furono capaci di trasformare Roma in una città modello di arte e architettura: nasce il Barocco. Ma a quale prezzo.

Lo scempio più emblematico si ebbe nel Foro: papa Giulio II Della Rovere (1503-1513) decise di sfruttare tutta la zona come cava di materiali da riutilizzare, molto spesso dopo averli trasformati in calce, nel progetto di rinnovamento edilizio e artistico della città da lui stesso avviato. Secondo i racconti di testimoni oculari come Pirro Ligorio, la distruzione dei monumenti fu rapidissima: a volte bastava un solo mese per demolire edifici quasi integri e a nulla valsero le proteste di Raffaello o le riserve espresse da Michelangelo. Nel tempio di Antonino e Faustina che rischiò come tutto il resto di essere completamente smantellato furono asportate le lastre marmoree che lo rivestivano; nella parte alta delle colonne, sono ancora oggi visibili i segni lasciati dalle corde nel tentativo di farle crollare.” (Wiki)

Nel Seicento, sotto i pontificati di Urbano VIII Barberini, di Innocenzo X Pamphili e Alessandro VII Chigi, il Barocco divenne uno stile di fama internazionale che la città dei papi diffuse in tutto il mondo. Nasce con loro la Roma moderna, come ancora oggi ci appare entro le mura. Questo segnò però la fine per ciò che riguarda l'aspetto medievale delle basiliche e della città in generale.

I materiali si ricercavano, gli edifici si demolivano, i marmi si calcinavano alla piena luce del sole, sotto l' occhio indifferente delle autorità, anzi col consenso di questa e con partecipazione degli utili.” (Lanciani)

Come ancora oggi possiamo constatare non c'è chiesa a Roma che non abbia colonne o marmi sottratti agli edifici antichi. Con la prolungata assenza di epidemie la popolazione crebbe considerevolmente, ma tutti gli abitanti di Roma ancora non sarebbero riusciti a riempire per metà gli spalti del Circo Massimo.


XVII-XVIII Secolo, Pop. >100.000 – Italia 15.000.000 – Europa 78.000.000

1606 Inondazione del Tevere

1637 Inondazione del Tevere

1643 Costruzione delle mura Gianicolensi

1647 Inondazione del Tevere

1656 Epidemia di peste (14.000 morti)

1660 Inondazione del Tevere

1703 Terremoto sui Monti Reatini


“Altro periodo drammatico per Roma fu il 1656. Tornò la peste!

Arrivò con un marinaio napoletano che prese alloggio in una locanda di via di Montefiore, a Trastevere; si era ammalato e fu trasportato all'ospedale di San Giovanni, dove morì dopo pochi giorni. Il medico della Congregazione della Sanità escluse che si trattasse di peste, nonostante gli assistenti dell'ospedale avessero fatto presente che “era morto con segnali” di peste. E fu un errore fatale, perché non vennero messe in atto, per evitare il contagio, quelle accortezze necessarie in certi casi, come isolare la locanda dove il marinaio aveva alloggiato. Accadde però che l'ostessa e i suoi

figli morirono una decina di giorni dopo, e ci si convinse che era peste; ma ormai l'epidemia era chiaramente in atto e andava localizzata in tutto Trastevere. In una notte venne isolato il rione con rastelli, cioè con lunghe cancellate di legno custodite da guardie armate, che avevano l'ordine di sparare a vista a chi tentasse di entrare o uscire. Malgrado i cancelli e la mira precisa delle guardie, il morbo attraversò il Tevere.

Fu poi allestito un lazzaretto all'Isola Tiberina, sbarrando gli accessi dei due ponti, perché all'isola si doveva arrivare solo con barche, che venivano poi utilizzate anche per il trasporto dei cadaveri alla spiaggia presso la basilica di San Paolo per seppellirli in fosse comuni.

Vennero istituiti altri quattro lazzaretti; due a San Pancrazio e a Casal Pio V per la convalescenza dopo una prima giacenza all'Isola; un terzo in via Giulia per la corroborazione della salute dopo la convalescenza; un quarto al convento di Sant'Eusebio, dove “erano collocati que' poveri, i quali ammalando nelle case sospette per esserne usciti infermi di peste”, e, non avendo i sintomi propri, erano considerati "sospetti" e quindi appestati.

"Brutto" e "sporco" era definito tutto ciò che veniva chiaramente a contatto con gli appestati, come medici, confessori, guardie, barche, carrette; furono peraltro vietati cortei, processioni e pubbliche funzioni e fu proibito il suono delle campane, per evitare che i fedeli, a quel richiamo, si riunissero nelle chiese. Fu inoltre prescritto a medici, chirurghi e cerusici di non partire da Roma, pena la vita e la confisca dei beni. La peste terminò nell'agosto 1657. Su una cittadinanza di 100.000 persone, i morti furono esattamente 14.473, di cui 11.373 nella città sulla sinistra del Tevere, 1600 nel Ghetto e 1500 a Trastevere.” (Marcelli)


L'Accademia dell'Arcadia rappresenta, oltre ad un circolo letterario, un vero e proprio movimento culturale, fondato a Roma il 5 ottobre 1690. I suoi fondatori sono 14 letterati e intellettuali, tutti appartenenti al circolo della regina Cristina di Svezia, che risiedette nello Stato Pontificio dopo aver abdicato al trono. La poetica degli arcadici reagiva al “cattivo gusto”, alle opulenze ed alle luci cupe del Barocco con un ideale classico e pastorale ispirato dal mondo idilliaco dell'antica regione Greca. Oltre al nome dell'Accademia, emblematico da questo punto di vista, fu scelto seguendo questa tendenza anche il nome della sede, una villa sulla salita di via Garibaldi sulle pendici del Gianicolo: il Bosco Parrasio. I suoi membri furono detti Pastori, Gesù bambino (adorato per primo dai pastori) fu scelto come protettore; come insegna, venne scelta la siringa del dio Pan, cinta di rami di alloro e di pino e ogni partecipante doveva assumere, come pseudonimo, un nome di ispirazione greca.” (Wiki)

Clemente XI fece ricostruire il Porto di Ripetta in forme monumentali con materiali di spoglio provenienti dal Colosseo (verrà però distrutto nella seconda metà dell'800 per la costruzione dei Muraglioni). La costruzione della scalinata di Trinità dei Monti, ad opera di Francesco De Sanctis fu la conclusione ideale del progetto del Tridente, insieme ai lavori del porto, con la sensibilità barocca dei "giardini urbani" (1723-26). Un'altra opera imponente, che si innestava su un acquedotto romano, è la Fontana di Trevi, conclusa a metà del Settecento. Sotto Benedetto XIV il

progetto barocco si poté dire completato.

In questi anni (1748) il cartografo Nolli documentò minuziosamente il tessuto urbano. Clemente XI rinnovò inoltre anche l'altro porto, quello di Ripa Grande, che venne da lui dotato dell'Arsenale.

I Secoli dal XVII al XIX rappresentarono l'epoca d'oro del Grand Tour, periodo interrotto solo dall'occupazione napoleonica. Il termine chiarisce come la moda di questo Tour riguardasse un viaggio particolarmente lungo, che poteva attraversare i paesi continentali e raggiungere perfino mete più esotiche come l’Egitto, ma che aveva come traguardo prediletto e irrinunciabile l'Italia e soprattutto Roma.

I viaggiatori (principalmente ricchi nordeuropei) si muovevano per visitare gli importanti siti archeologici delle civiltà classiche, ma molta attenzione era rivolta anche al contemporaneo, alle opere arcadiche e allo studio della natura, il tutto per perfezionare la propria educazione e conoscenza del mondo. Durante le soste, da buoni turisti, spesso si ritrovarono ad acquistare opere d’arte e d’antiquariato, cimeli e ricordi di vario genere del viaggio. Fondamentale diventò farsi ritrarre dai pittori più in vista del momento o acquistare vedute del paesaggio italiano: tra i pittori più in voga all’epoca vi erano Pompeo Batoni, Vanvitelli ed il Piranesi. Quest'ultimo esaltò il Rovinismo, cioè il gusto per la drammaticità dei grandiosi ruderi ed il fascino pittoresco e commovente degli ambienti in abbandono e sopraffatti dalla natura.” (asinodoro)

“Roma era tappa imprescindibile e l’arrivo di questi visitatori stranieri, fra cui artisti ed intellettuali, plasmò la città, soprattutto nella zona considerata allora “nuova”, tra Piazza del Popolo e Piazza di Spagna. Per molti, come Goethe e lo stesso Gregorovius, arrivare nella città eterna costituiva il raggiungimento di un sogno e talvolta ci si innamorava a tal punto di Roma da non lasciarla più.

I colori di Via del Corso, i cocchi che la domenica specialmente animavano la città, suscitavano in Goethe un senso di vitalità non comune. In genere le sue mete preferite erano i Giardini farnesiani sul Colle Palatino e il Campidoglio. Lo troviamo al Caffè Greco, allora chiamato Caffè dei Tedeschi, un rifugio, un punto di riferimento per artisti e letterati che amavano la calda intimità di quel Caffè, per scambiarsi le loro impressioni e le loro emozioni”. (L. Stanziani)

Nell’affresco Il Parnaso, all’interno della Galleria nobile di Villa Albani, Anton Mengs trascrive pittoricamente i principi fondamentali del vero stile teorizzati da Johann Joachim Winckelmann, col quale il pittore boemo era intellettualmente in sintonia e in stretto rapporto di amicizia. Il primo evidente elemento stilistico presente nell’opera consiste nell’ordine dispositivo dei personaggi, messi intorno alla figura centrale di Apollo, dio della musica e personificazione stessa della poesia, che ne scandisce un calcolato equilibrio compositivo, con cinque personaggi sistemati alla sua destra e cinque collocati alla sua sinistra, tutti sospesi in pose composte e caratterizzanti, cui si aggiunge una sobria e naturale gestualità. Ma l’idea dominante che permea il dipinto è quella della ricerca di una nuova bellezza e della dichiarazione dell’assunto estetico più caro all’autore: l’ideale. «Con l’ideale» egli annotava, «intendo ciò che si vede soltanto con l’immaginazione, e non con gli occhi; così un ideale in pittura si fonda sulla selezione delle cose più belle della natura, purificate da ogni imperfezione», quasi parafrasando l’idea di bello enunciata a chiare lettere da Raffaello: «Il pittore ha l’obbligo di fare le cose non come natura le fa, ma come ella le dovrebbe fare.» Il soggetto dell’affresco, difatti, è anche una sorta di omaggio al Parnaso dell’Urbinate nella Stanza della Segnatura. Il Parnaso di Mengs anticipa e annuncia il neoclassicismo, ne è in un certo modo il manifesto, sebbene non esprima completamente la visione neoclassica che è, oltre che estetica, anche etica. Visione che è compiutamente concretizzata nel Giuramento degli Orazi, primo e autentico quadro totalmente neoclassico.” (Fragnoli)

A Roma, dopo la straordinaria stagione barocca e tardobarocca che produsse i suoi frutti fino ai primi decenni del Settecento, la corrente del Neoclassicismo giunse con Giovanni Battista Visconti, Commissario dei Musei e Soprintendente alle Antichità, succeduto a Winckelmann dopo il 1768. Visconti promosse una serie di significative trasformazioni presso i Musei Vaticani, che ebbe inizio con l'alterazione del cortile ottagonale da parte di Alessandro Dori, poi sostituito da Michelangelo Simonetti. Dopo il 1775, sotto il pontificato di papa Pio VI, i lavori ripresero con maggior vigore.

Su progetto dello stesso Simonetti e Pietro Camporese furono aggiunte imponenti sale museali, come quella delle Muse, la sala a croce greca e la scalinata d'accesso. Tra il 1817 e il 1822, Raffaele Stern realizzò il cosiddetto Braccio Nuovo. Nel loro insieme, questi ambienti costituiscono una sequenza di spazi diversi, tutti caratterizzati da un'insolita correttezza archeologica. Giuseppe

Valadier fu impegnato nei restauri del Colosseo, dell'Arco di Tito, del Pantheon, di Ponte Milvio, dedicandosi inoltre ai progetti di Villa Torlonia, del Caffè del Pincio, della facciata di San Rocco e della sistemazione di piazza del Popolo, quest'ultima considerata un capolavoro del Neoclassicismo italiano sotto il profilo urbanistico.” (Wiki)



XIX Sec. Pop. >200.000

1805 Inondazione del Tevere

1806 Terremoto sui Colli Albani

1809-1814 Occupazione francese

1846 Inondazione del Tevere

1862 Sventramenti per la stazione Termini e piazza dei Cinquecento

1870 Roma capitale del Regno d'Italia

Inondazione del Tevere pop. >245.000

1873 Sventramenti per Muraglioni sul Tevere

1881 inizio urbanizzazione fuori le Mura

1883 Sventramenti – Corso Vittorio, Giardini Pinciani e Laterano

1885 Sventramenti per Vittoriano e in Campidoglio


“Roma restò medioevale per 850 anni: quando i bersaglieri entrarono a Porta Pia, trovarono

una città cresciuta di appena 120 mila abitanti in otto secoli”. (ACRG)

Poi, negli anni seguenti, i vari piani regolatori mirarono all'urbanizzazione sistematica extra mura,

dando il via alle più grosse speculazioni edilizie della storia moderna.

“Come un segno del destino, il 28 dicembre 1870, poco più di due mesi dopo la breccia di Porta Pia, Roma subì una grande inondazione da 17,22 metri, la maggiore dal 1637. Secondo alcuni studiosi, se nel frattempo il bacino del Tevere non fosse stato ridotto in favore di quello dell'Arno, la piena del 1870 avrebbe superato in intensità addirittura quella del 1598. L'impressione fu grande e di nuovo si pose mano a progetti di opere di difesa di Roma dalle piene.” (Wiki)

La situazione si sbloccò per impulso di Giuseppe Garibaldi, che nel 1875 spinse il Parlamento a dichiarare l'urgenza dell'opera e simultaneamente presentò un progetto di deviazione del Tevere e dell'Aniene, che avrebbero dovuto aggirare Roma da est su un tracciato più o meno simile a quello dell'attuale cintura ferroviaria. “Garibaldi, che era stato eletto deputato, si presentò a palazzo

Montecitorio in camicia rossa e poncho, tanto che a fatica lo fecero entrare.” (Barbero)

Al momento di approvare la legge di finanziamento dell'opera, prevalse però il progetto di Raffaele Canevari di arginare il Tevere con gli alti muraglioni di travertino come li vediamo ai giorni nostri.


XX Sec. 1900 Pop. >500.000 – Italia 35.000.000 – Europa 450.000.000

1932 Sventramenti per Via dei Fori Imperiali

1934 Sventramenti per via del Mare e via della Conciliazione

1938 Sventramenti all' Augusteo. Pop. >1.000.000

1943 Bombardamenti a San Lorenzo, Appio e Tuscolano

1944 Bombardamenti su Magliana e Quadraro

1955 Inaugurazione della Metropolitana. pop. <1.650.000

XXI Sec, pop. >2.650.000 – Italia 60.000.000 – Europa 750.000.000


“Gli sventramenti hanno provocato da una parte la perdita secca e senza contropartita di valori storici, architettonici e ambientali insostituibili e, dall’altra, la deportazione degli abitanti in periferia, in borgate costruite in tutta fretta con i materiali più scadenti, dove la gente, strappata alle sue abitudini e alle sue attività, venne condannata a vivere in condizioni igieniche peggiori di quelle dei vecchi e pur degradati quartieri che venivano distrutti.

Quanto al traffico, i nuovi stradoni con i grossi palazzi costruiti al posto del vecchio tessuto edilizio, ebbero come conseguenza non già il suo alleggerimento, ma il suo ovvio aggravamento e congestione in tutto il centro, man mano che aumentavano le auto, fino alla paralisi attuale. Va da sé che la vera ragione degli sventramenti fu la speculazione edilizia: gli stessi miseri insediamenti costruiti per gli sfrattati dal centro servirono in seguito egregiamente per far salire i prezzi dei terreni circostanti e intermedi, quindi per l’indiscriminata e soffocante espansione a macchia d’olio delle città, a vantaggio dei proprietari terrieri.

Non bisogna naturalmente, in tutto questo, esagerare l’importanza di Mussolini. Egli ebbe solo la forza e l’autorità di realizzare quanto da decenni era previsto dai piani regolatori di età umbertina e successivi, e quanto era proposto dalla cultura ufficiale dell’epoca. Si trattava di una cultura retorica e accademica, che pretendeva di adeguare la città esistente alle esigenze dei tempi nuovi, senza capire che l’operazione da fare era quella inversa, ossia creare la città nuova non sopra ma accanto all’antica, subordinando la soluzione dei problemi moderni (traffico, industrializzazione, urbanesimo) alla salvaguardia della città che ci era stata tramandata nei secoli.” (Associazione Culturale Rome Guides)

Fino a metà '800 Roma aveva mantenuto le dimensioni di una città di grandezza media, ma da quando è divenuta Capitale d'Italia le cose sono cambiate e la tranquilla e grandiosa quinta di tutti i più grandi artisti si è trasformata in una disordinata metropoli. A causa degli sventramenti operati da quel periodo fino alla prima metà del XX Secolo, conseguenza di discutibili piani urbanistici, interi isolati cinque-seicenteschi hanno lasciato il posto a piazze e a larghi boulevard (Corso Vittorio Emanuele, Piazza Venezia, Altare della Patria, via dei Fori Imperiali, via Petroselli ex via del Mare, stazione Termini, ecc.). Nei secoli sono scomparsi, oltre ai maestosi edifici e alle statue dell'antichità, almeno 150 chiese e monasteri medioevali, alcuni tratti delle mura aureliane e deliziosi angoli del centro storico come via Tor de' Specchi, Piazza Montanara, Macel de' Corvi. Per non parlare di ville e giardini, l'autentico tesoro della città eterna:

Le piante storiche di Roma, dal Cinquecento e fino al 1870 (G.A. Dosio, 1561, G.B. Falda, 1676, G.B. Nolli, 1748, G. Vasi, 1781 e A. Moschetti, 1839, solo per citare le più celebri), svelano un’immagine della città racchiusa dalle Mura Aureliane in cui l’elemento non urbanizzato prevale sul costruito. Ville e giardini romani prospereranno, dunque, tra il XV e il XVIII secolo, spesso trasformati a causa dei cambiamenti di proprietà e di gusto, mantenendo, però, intatta la loro vocazione originaria.

Tra Sette e Ottocento tuttavia, con il declino economico dello Stato Pontificio, alcuni di questi complessi cadranno in abbandono e verranno demoliti o perderanno quasi del tutto le caratteristiche che li avevano resi celebri. Spariranno antiche residenze come il quattrocentesco “casino” dei Colonna al Quirinale, presso il Tempio di Serapide, allora identificato come “Tempio del Sole”, ancora attestato nella prima metà del Seicento, o il giardino dei Soderini, mirabilmente impiantato nel Cinquecento all’interno del Mausoleo di Augusto, caduto in rovina alla metà del Settecento e poi soppiantato da un’arena detta “Anfiteatro Corea” per i combattimenti con i tori, del quale, negli anni Trenta del Novecento, Antonio Muñoz ipotizzò una riproposizione.

Importanti ville cinque-seicentesche scompaiono, invece, a causa dello stato di abbandono in cui versano, come la Villa Giustiniani fuori Porta del Popolo, acquistata nel 1820, oramai in declino, da Camillo Borghese per l’ampliamento della villa pinciana e della quale sopravvive soltanto una dépendance, la cosiddetta “Casina Giustiniani” o la Villa Sacchetti al “Pineto” con le sue pregevoli sistemazioni, il cui elegante edificio, progettato da Pietro da Cortona nel terzo decennio del Seicento appariva già fatiscente alla fine del secolo. Un’altra causa di distruzione o trasformazione di molte ville romane furono i combattimenti scatenatisi per la difesa della Repubblica Romana durante l’assedio posto dall’esercito francese alla città nel 1849.

Molte aree al di fuori delle mura vennero colpite dai bombardamenti o dalle distruzioni programmate per eliminare eventuali caposaldi a favore degli assedianti, dai Prati di Castello alla zona compresa tra Porta Pia e Porta Flaminia: in quest’ultima fu minata e fatta esplodere la settecentesca Villa Patrizi, poi ricostruita dalla famiglia nelle medesime forme e infine distrutta definitivamente nel 1909 per la costruzione della sede del Ministero dei Trasporti.

Furono gravemente danneggiati alcuni edifici di Villa Borghese, come il “Casino dei Giuochi d’acqua” e l’attuale “Aranciera” sede del Museo Bilotti, e fu distrutta la pittoresca “Casina di Raffaello” sita nell’adiacente “Villetta” di Giuseppe Doria, presso l’attuale Galoppatoio, soggetto di numerose raffigurazioni paesaggistico/evocative. Ma il settore più pesantemente colpito dai cannoneggiamenti fu quello Gianicolense, teatro dell’assedio vero e proprio.

Qui furono disastrati tutti gli orti, i giardini e le residenze di delizia che si affollavano fuori e dentro le mura, tra cui il Casino Corsini ai Quattro Venti, poi incluso nella adiacente Villa Pamphilj e soppiantato dal celebrativo “Arco dei Quattro Venti”, e l’originale “Vascello”, dimora progettata nel 1663 da Plautilla Bricci per l’abate Elpidio Benedetti, poi passata in proprietà al conte Giraud, che ospiterà l’avamposto degli eroici difensori della Repubblica soffrendo così la completa distruzione.

Ma sarà la destinazione di Roma a Capitale d’Italia, e la conseguente necessità di ammodernamento e ampliamento della città, a comportare, negli anni successivi al 1870, una decisa inversione del rapporto tra non-abitato e costruito, sacrificando in gran parte ville e giardini, pur celeberrimi, per far spazio a nuovi quartieri, strade, servizi e centri amministrativi, sia dentro che fuori le Mura.

Le attuali ville storiche, originariamente private, sono sopravvissute in gran parte grazie a politiche di acquisizione pubblica, dettate più da ragioni urbanistiche, come la dotazione di spazi verdi a fronte di un’urbanizzazione intensiva, che di salvaguardia tout-court.

La quantità di complessi e giardini scomparsi a causa dello sviluppo urbano è impressionante, ma, fortunatamente, un cospicuo numero di documenti scritti e visivi, molti dei quali conservati nelle collezioni dei Musei di Roma Capitale, testimonia le loro bellezze e peculiarità.

Seguendo la cartografia esplicativa dei vari Piani Regolatori è possibile ricostruire la storia delle distruzioni o radicali trasformazioni delle ville romane.

Tra Quirinale e Viminale, sotto la spinta dei progetti di edificazione di monsignor Xavier de Mérode

per l’apertura di via Nazionale, vengono meno gli “horti” una volta di proprietà del cardinale du Bellay e viene tagliata via una parte del giardino di Villa Aldobrandini. Nelle successive lottizzazioni è inoltre distrutta la Villa Strozzi, già Frangipane, con le sue notevoli collezioni d’antichità e la memoria della residenza romana di Vittorio Alfieri, frantumata prima dal passaggio delle nuove vie Napoli, Firenze e Torino e poi definitivamente annientata con la costruzione del Teatro Costanzi. Stessa sorte tocca al seicentesco giardino Chigi in via Quattro Fontane, un interessante esempio di “villetta” urbana che ospitava un singolare museo di “curiosità”, la cui scenografica sistemazione ci è trasmessa dall’incisione di Teresa Del Po che raffigura l’apparato architettato da Carlo Fontana per il banchetto offerto dal cardinale Flavio Chigi a Caterina Rospigliosi il 15 agosto 1668 e da un dipinto del 1850 di Giuseppe Roesler Franz che mostra una voliera a forma di tempietto ormai in abbandono. Ancor più dolorosa è la devastazione delle ville nell’area esquilina, tra le quali spiccano le aristocratiche Villa Caserta (Caetani), posta tra via dello Statuto e via Merulana, e Villa Palombara, poi Massimo, nel luogo dell’attuale piazza Vittorio, della quale sopravvive soltanto la celebre “porta magica”. Ma la perdita più rilevante fu la dimora della villa della famiglia di Sisto V, la Villa Montalto-Peretti, poi passata ai Negroni e in ultimo ai Massimo, sacrificata per la costruzione del nuovo quartiere Esquilino e della limitrofa Stazione Termini. Possiamo quindi valutare le fattezze degli edifici principali, il “Palazzo di Termini”, soppiantato dall’attuale Palazzo Massimo alle Terme (1888), una delle sedi del Museo Nazionale Romano, e il “Palazzetto Felice”, l’edificio amato da Sisto V per la piacevolezza dei suoi ornamenti, in un primo momento sopravvissuto alla prima urbanizzazione dell’area ma successivamente (1888) anch’esso demolito. Altra perdita considerevole è quella del seicentesco giardino Giustiniani, che si distendeva tra la via Sistina (Merulana) e la piazza di San Giovanni in Laterano, della quale resta, con accesso in via Matteo Boiardo, se pur rimaneggiato, il casino decorato internamente nel 1803 dai pittori nazareni su commissione del principe Carlo Massimo, divenutone proprietario l’anno precedente.

Nel 1848 la villa passò ai Lancellotti che, nel 1871, vendettero il giardino come area edificabile; nel 1885 ne fu avviata la distruzione. Il portale monumentale sulla via Merulana attribuito a Carlo Lambardi fu smontato, ceduto allo Stato nel 1929 e ricostruito a Villa Celimontana nel 1931 portale villa Celimontana], in sostituzione di un mediocre ingresso dei primi dell’Ottocento demolito per l’allargamento di via della Navicella. La bellezza del giardino, punteggiato di statue antiche, prospettive architettoniche e scompartito da alte siepi, è mirabilmente documentata da una serie di 7 acquerelli conservati al Museo di Roma. Oltre alle grandi ville, la prima ondata di urbanizzazione travolge anche il tessuto di piccole e pregevoli dimore circondate da giardino che costellavano l’area tra Castro Pretorio e Porta Tiburtina, come p. es. le ville Rondinini, Olgiati, poi del Noviziato dei Gesuiti. Anche la seconda, e ben più consistente, fase di inurbamento, sancita dal Piano Regolatore redatto da Alessandro Viviani nel 1882, cancellerà dalla mappa di Roma ville antiche e famose. È il caso della Villa Altoviti affacciata su Tevere ai Prati di Castello, anch’essa soggetto di vedute di paesaggio, la cui loggia nel 1553 era stata affrescata da Giorgio Vasari, incendiata durante i combattimenti del 1849, poi ricostruita e infine demolita per la costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia (1889-1910) e del quartiere limitrofo.

Non meno grave è la distruzione del tessuto di ville e giardini che caratterizzava l’area tra Porta Pia e Porta Pinciana per la realizzazione del “Nuovo Quartiere agli Orti Sallustiani”, con la sparizione della Villa Massimo di Rignano e della pittoresca “villetta” Spithover, già Barberini, il cui casino, demolito nel 1906, sormontava i resti delle sostruzioni degli antichi horti.

In quest’area si registra la perdita più significativa, quella della nobile seicentesca villa dei Ludovisi, offerta nel 1886 dall’ultimo proprietario, Rodolfo Boncompagni Ludovisi, in convenzione alla Società Generale Immobiliare per procedere alla lottizzazione di più dell’ottanta per cento della sua superficie totale che darà vita all’attuale “Rione Ludovisi”.

Meta di viaggiatori e studiosi, fu decantata da scrittori e poeti per il pregio della straordinaria collezione di oltre 450 sculture antiche e per la bellezza dei giardini impiantati nell’area degli antichi horti di Sallustio (dei quali si conservava, giacente in terra, un obelisco anticamente lì innalzato) da dove si godeva un fenomenale colpo d’occhio sulla città.

Il rincrescimento, energicamente espresso da Gabriele D’Annunzio, Rodolfo Lanciani e Theodor Mommsen, per il sacrificio del complesso, dal quale fu risparmiato il solo Casino dell’Aurora decorato dalle pitture di Caravaggio e di Guercino, ben risuona in uno scritto dello storico dell’arte Herman Grimm, intitolato La distruzione di Roma (1886), in cui affermava che «profetizzare, che sotto il nuovo governo la villa dovesse andare distrutta … e gli allori, le querce, i pini abbattuti … sarebbe stato allora un’offesa che né anche il più acerbo nemico della nuova Italia avrebbe osato recarle». Oltre la già ricordata Villa Patrizi sulla Nomentana, al Celio sarà sacrificata, per la costruzione dell’Ospedale Militare (1885-91), la Villa Casali col suo pregevole edificio e il giardino, del quale resta solo una fontana a pianta polilobata all’interno del parco del nosocomio, da cui si ammirava la spettacolare vista del Colosseo. Ancora al Celio, all’incrocio tra le vie dei Santi Quattro Coronati e di Santo Stefano Rotondo, verrà distrutta la villa-museo del marchese Giovanni Pietro Campana, famosa nella prima metà dell’Ottocento per le notevoli collezioni di antichità esposte in apposite architetture e nel giardino: alla morte del proprietario (1880) la proprietà fu acquistata dallo scultore inglese Warrington Wood e intorno al 1895 passò all’Ordine dei Cappuccini e al “Collegio Salviati” per essere, infine, abbattuta nel terzo decennio del Novecento per la nuova edificazione del Pontificio Collegio Irlandese (1922-26).

Anche la realizzazione dei nuovi argini di contenimento del Tevere, opera intrapresa a partire dal 1875 e conclusasi nel 1926, comportò la distruzione o la riduzione dei giardini affacciati sul fiume.

Il giardino della “Farnesina” fu di fatto dimezzato e perdette il “caffeàus” fluviale derivato dall’antica loggia del giardino Farnese. Stesso destino subì anche un’altra sistemazione farnesiana, il casino con giardino connesso a Palazzo Farnese detto “della Morte”, al pari del seicentesco “Casino di Donna Olimpia” a Ripa e del giardino Consalvi, poi Marescotti, a Ponte Rotto.

Sulla via Portuense disparve la pregevole Villa Massimo, poi Della Porta Rodiani e Sacripanti, realizzata agli inizi del Seicento; ne resta l’imponente portale del 1629, il cui progetto è attribuito a Girolamo Rainaldi, oggi soffocato dall’edilizia abitativa intensiva sorta tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento. A partire dal Dopoguerra il consumo di suolo e di aree verdi di pregio, dovuto all’urbanizzazione e alla speculazione edilizia, tende ad arrestarsi, da un lato per la saturazione delle aree centrali e di quelle suburbane più prossime, dall’altro per una più nitida consapevolezza dell’importanza culturale e civile dei giardini storici che ne ispirerà la difesa e la tutela.” (Cremona/Sovrintendenza)




Lasciamo in pace i Barbari! I danni che essi hanno fatto a Roma sono trascurabili in confronto ai danni fatti da altri.

E per “altri” intendo i Romani stessi, i Romani dei periodi imperiale e bizantino, del Medioevo e del Rinascimento,

e anche dopo.” (R. Lanciani)

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