Urbis Romae in pillole, dal Tardo Impero a oggi.
Premessa I
“Non è del tutto chiaro quando nel mondo nordico si cominciò ad avere notizia di Roma, ma già nel
113 a.C. i popoli germani Cimbri e Teutoni, partendo dai territori scandinavi, entrarono nelle
regioni danubiane, continuando quel lungo processo (iniziato con la migrazione celtica del
IV a.C.) di invasioni/migrazioni nel territorio romano da parte di popoli extra-romani. D'altra parte
Roma già brulicava di Galli, Greci, Arabi, Africani, Ebrei, Persiani, essendo il Mar Mediterraneo il
centro geografico e vero crocevia dell'Impero, un Impero vastissimo che si estendeva su tre
continenti. Conseguentemente, il rapporto dei popoli germanici con Roma si può riassumere come
una alternanza di conflitti feroci e integrazioni pacifiche. Non era facile accedere liberamente
all’impero: le truppe stabilite lungo il confine avevano il compito di controllare l’ingresso di uomini
e merci; tuttavia, entrare o uscire dall’impero non era né impossibile né vietato. Quindi, una forma
di immigrazione clandestina verso l’impero era sempre esistita e, oltre tutto, ci sono diverse
testimonianze di fenomeni di discriminazione soprattutto all’interno della città.” (A. Iannucci)
“Un importante provvedimento preso durante il regno di Caracalla (inizio III Sec. d.C.)
fu l'emanazione dell'editto noto come Constitutio Antoniniana, che concedeva la cittadinanza a tutti
gli abitanti dell'Impero di condizione libera (non schiavi).” (Wiki)
Premessa II
Sulla base di rinvenimenti catastali, a Roma sotto l'imperatore Settimio Severo (II-III Sec. d.C.) la
popolazione era di circa 1,2 milioni di abitanti su 2000 ettari di superficie; le insulae erano pertanto
46.602 contro 1797 domus. Le prime erano dimora dei plebei, mentre le seconde erano abitate dai
patrizi. In pratica le insulae costituiscono il “condominio” della Roma antica: nella forma più tipica erano palazzi a pianta quadrangolare, con cortile interno (cavedio) talvolta porticato, sul quale erano
posti i corridoi di accesso alle varie unità abitative, dette cenacula, tecnicamente veri e propri "appartamenti". In questi edifici il piano terra era solitamente destinato a botteghe di vario genere
(tabernae), dotate di un soppalco adibito a deposito di materiali e/o alloggio degli artigiani più
poveri; ai piani superiori si trovavano gli alloggi, che diventavano meno pregiati man mano che si
saliva verso il tetto. Le unità abitative andavano tipicamente da tre a dieci stanze, delle quali una di solito era di dimensioni maggiori e in posizione migliore rispetto alle altre. Il primo piano,
solitamente, ospitava i cenacula di maggior pregio, spesso serviti da una balconata lignea o in
muratura, poggiata su mensole, che percorreva l'intero affaccio stradale. Le sistemazioni si facevano
più spartane e precarie ai piani superiori, fino ad arrivare al sottotetto, dove si pativa freddo
d'inverno e caldo d'estate, oltre a stillicidi d'acqua durante le precipitazioni.
Il prospetto a mattoni, in genere, non veniva intonacato, ma si poteva comunque riscontrare un
effetto visivo policromo per via dell'uso di laterizi di colori e tonalità diverse per i vari elementi
architettonici. I solai e le coperture erano spesso sostenute da volte, che garantivano maggiore
stabilità. Nel complesso mancavano i servizi igienici, essendo notoriamente usate a tale scopo le
latrine pubbliche e le terme.
(Angela)
Cronologia
III-IV Sec. Forte epidemia di peste (peste di Cipriano) dal 250 al
270 circa.
Crisi sistemica,
religiosa e politica dell'Impero, forte denatalità,
iperinflazione,
insostenibile
pressione fiscale, desertificazione degli agri,
emigrazione.
Costruzione
delle Mura Aureliane (270-275) a protezione della città.
Popolaz. Urbe >800.000 – Italia 10.000.000
– Europa 40.000.000 (IV Secolo)
Durante il I e II Secolo l'opera (e sovente il martirio) dei
predicatori cristiani, unita ad una crisi del
culto politeista greco-romano, vide la progressiva affermazione del
Cristianesimo nel territorio
imperiale. Nel III e IV Secolo la tolleranza verso la nuova religione
di tre Imperatori, Galerio,
Costantino e Teodosio, e la
conversione di gran parte della popolazione, barbari compresi,
porterà
ad un lento abbandono dei riti pagani e alla chiusura dei vecchi
luoghi sacri, non senza aver assistito
ad episodi di saccheggio e distruzione da parte dei Cristiani più
fanatici.
“Gli editti pubblicati
tendevano a condannare il paganesimo come religio
illecita e quindi ad
eliminarlo lavorando su due fronti: da una parte l’assoluto
divieto dei sacrifici e delle altre forme di
culto, con pene che oscillavano dalle sanzioni pecuniarie all’esilio
fino alla condanna a morte
(a seconda dei vari imperatori); dall’altra la chiusura, la
confisca e, in molti casi, la distruzione dei
templi. I pagani reagirono in vario modo; in principio con la
violenza, ma poco a poco, vedendo che
i cristianissimi
imperatori erano
decisi ad utilizzare i templi da cui avevano tolto i segni della
superstizione, gli stessi pagani si rassegnarono all’evidenza e
fecero di tutto per salvare le statue
degli dei. Teodosio II nel novembre del 435 comanda che, se c’è
ancora un solo tempio rurale non
distrutto, sia trasformato in chiesa cristiana.
I Padri della Chiesa riconoscevano nella religione pagana l’opera
demoniaca e di conseguenza le
sue divinità erano paragonate ai demoni che inducono l’umanità
nel peccato. Quest’idea portava a
ritenere i culti pagani come riti di adorazione dei demoni. La
conseguenza di tale posizione fu
il riconoscimento come luoghi infestati dal demonio dei templi e di
tutti gli ambienti, anche
naturali, in cui si fosse svolto un qualche rito pagano. Questi
luoghi, dopo essere stati purificati,
potevano accogliere un edificio cristiano. Dobbiamo tenere presente,
però, che a Roma la situazione
risultava ben più complessa e problematica, in quanto la
posizione imperiale era fortemente
osteggiata dal senato che, ancora abbarbicato agli antichi dei, portò
avanti una lunga e tenace
resistenza. Nel 313, l'imperatore Costantino dispone la costruzione
della prima grande Basilica di
Roma fuori dalle mura aureliane, sul colle Vaticano, nel luogo del
martirio e sepoltura di san Pietro,
al quale viene consacrata nel 326. Nel IV Secolo il Cristianesimo,
ormai religione dell'Impero,
necessita di luoghi di culto adeguati e nel corso di questi due
secoli vengono realizzate le prime
basiliche, derivate strutturalmente dagli omonimi edifici romani di
riunione forense, come quelle di
San Giovanni al Laterano (nata come SS. Salvatore), di San Paolo e
Santa Agnese fuori le Mura,
San Silvestro alla via Latina, San Clemente e Santa Sabina. Oltre
alle basiliche sorgono edifici
minori, a pianta centrale, derivati talvolta dall'adattamento dei
mausolei sepolcrali romani come il
Mausoleo di Santa Costanza, la Basilica di Santo Stefano Rotondo e il
Battistero di San Giovanni,
ma sempre in siti periferici.
Dunque i fondatori di chiese evitavano inizialmente di utilizzare non
solo i templi, ma anche le aree
sacre dove in precedenza sorgeva un tempio pure se questo era già
in rovina; la credenza che gli
spiriti maligni si aggirassero
nei dintorni dei templi era un forte deterrente. (…) Le
costruzioni templari, non più soggetti ad operazioni per la
manutenzione, andarono in rovina e, privi di controllo, venivano
saccheggiati di tutto il materiale riutilizzabile. Scamparono alla
distruzione solo i pochi templi che vennero convertiti in chiese: il
riutilizzo dell’intero monumento determinò in questi
casi l’eccezionale conservazione delle strutture antiche.”
(Lonardo)
“Nel 330 Costantino fonda
Costantinopoli e la abbellisce sottraendo numerosi capolavori d'arte
greco-romana a diverse città,
fra cui Roma. È
la prima di una lunga serie di razzie di monumenti
classici che verranno perpetrate ai danni della città per
costruire edifici cristiani in ogni parte
d'Europa.” (Thomas)
“Nel IV Secolo acquista
grande rilevanza l'assimilazione e la piena integrazione del popolo
germanico dei Goti alla cultura
romana: essi diventano soldati (o contadini) romani a tutti gli
effetti, garantiscono fedeltà all’impero, si convertono
al cattolicesimo e seguono la disciplina romana. In questo processo
l’esercito rappresenta la struttura maggiormente in grado di
gestire questa forma di integrazione perché assorbiva i
barbari e li trasformava nei veterani romani che erano il vero
pilastro dell’impero.” (A.
Iannucci)
“A partire dal IV secolo
(dopo l'editto di Milano) la Diocesi di Roma divenne proprietaria di
immobili e terreni, frutto delle donazioni dei fedeli. Il patrimonio
terriero del vescovo di Roma era denominato Patrimonium
Sancti Petri perché
le donazioni erano indirizzate ai santi Pietro e Paolo.”
V Sec. Roma perde la sua importanza politica a favore di
Costantinopoli.
Chiusura dei templi pagani. Costruzione di nuove chiese,
monasteri e xenodochia.
403 Ristrutturazione delle Mura Aureliane (alzate da 6 a 8
metri e da 14 a 18 porte)
408-410 Sacco di Alarico-Visigoti, carestia
411 Inondazione del
Tevere.
422 Epidemia
443 Terremoto molto forte
455 Sacco di Genserico-Vandali, la popolazione è
risparmiata
472 Sacco di
Ricimero-Burgundi-Ostrogoti
476 Terremoto
Popolazione ipotizzata a metà V Secolo 350-500.000
“Non era per niente facile,
se non impossibile, per i rozzi guerrieri del Nord, e per quanto
numerosi
fossero, assediare le mura ed espugnare Roma. La Storia ci dice che
quando è successo è perchè
qualcuno li ha fatti entrare.”
(Thomas)
“Gli edifici senz'altro più
colpiti durante il sacco di Alarico furono il palazzo dei Valerii sul
Celio e le ville padronali sull'Aventino, che furono incendiate; le
terme di Decio furono gravemente danneggiate, e il tempio di Giunone
regina fu distrutto. Le statue del Foro furono spogliate, la curia
Iulia, sede del Senato, data alle fiamme e la stessa augusta Galla
Placidia venne presa in ostaggio da Alarico. Ciononostante, Roma
incuteva rispetto agli invasori e nei tre giorni di saccheggio
Alarico impartì l'ordine di risparmiare i luoghi di culto
cristiani (soprattutto la basilica di San Pietro), che considerò
come luoghi di asilo inviolabili dove non poteva essere ucciso
nessuno”. (wiki)
“Abbiamo una relativa ricchezza di informazioni sulle direzioni
della fuga da Roma saccheggiata
da Alarico. Rutilio Namaziano ricorda come molte famiglie
avessero trovato rifugio nell’isola del
Giglio e, in generale, nelle isole dell’arcipelago toscano. La
direzione principale della fuga sembra
però essere stata a Sud, verso l’Italia meridionale, la
Sicilia e di là l'Africa e addirittura la Palestina,
sempre comunque regioni dell'Impero e relativamente tranquille. Una
parte di questi profughi emigrati oltremare era composta da membri
delle élites romane, in gran parte aristocratici che hanno
perso i loro beni (quelli più preziosi, dalle statue di bronzo
ai gioielli, venivano accuratamente nascosti, interrati, murati o
buttati nel Tevere).
L’imprigionamento, nella prospettiva o meno del riscatto, era
una delle opzioni dei barbari vincitori nei confronti delle
popolazioni esposte al loro assalto. L’uccisione, soprattutto
dei maschi adulti, costituiva la scelta più drastica, ma
nondimeno praticata con relativa frequenza, soprattutto nelle
incursioni da parte di bande.”
(V.
Neri)
“Sebbene la storia ricordi
il sacco dei Vandali come estremamente brutale (da cui il termine
vandalismo per indicare un atto di violenza distruttiva e gratuita),
in verità Genserico onorò il suo impegno di non
abbattere la sua forza sul popolo romano ed i Vandali non operarono
nessuna distruzione degna di nota nella città; essi comunque
razziarono l'oro, l'argento e molti altri valori, con un impeto
peggiore di quello dei visigoti di Alarico, autori del sacco del 410.
Procopio descrisse così il sacco: «Genserico giungendo a
Roma prese possesso del palazzo...fece prigioniera Eudossia, oltre a
Eudocia e Placidia, le figlie di lei e di Valentiniano, e, facendo
trasportare sulle sue navi una grande quantità di oro e di
altri tesori imperiali, salpò per Cartagine, non avendo
risparmiato nemmeno il bronzo o qualsiasi altra cosa in tutta la
città.
I Vandali depredarono di ogni ricchezza il palazzo imperiale, e
spogliarono i templi come quello di Giove Capitolino, privato per
metà del tetto di bronzo. Anche le statue furono trasportate
su una nave, che però non riuscì a raggiungere il porto
di Cartagine, finendo dispersa.
Migliaia di cittadini romani, di
ogni età e rango, furono fatti prigionieri: tra questi
spiccavano personaggi illustri, come Gaudenzio figlio di Ezio. Paolo
Diacono scrive che, nel corso dei quattordici giorni di saccheggio,
avvenuto quarantacinque anni dopo il primo sacco di Alarico e
nell'anno 1208 dalla sua fondazione, la città fu spogliata
delle sue ricchezze. ” (Wiki)
Poco più di mezzo Secolo
dopo “l'assedio del 472 si prolungò per cinque mesi, da
febbraio a luglio e vide la città come principale campo di
battaglia. Una parte di essa, attorno al Palatino era controllata da
Antemio, mentre le milizie di Ricimero, collocate principalmente apud
Anicionis pontem
(forse ponte Milvio) e presso Pons
Hadriani, occupavano
le aree di Trastevere, del Gianicolo e del Vaticano. Ricimero, forte
del controllo dei ponti e del possesso degli accessi del Tevere,
impediva i rifornimenti, lasciando i Romani in balia della fame e
delle epidemie.” (Wiki)
“I mutamenti sociali del V
secolo portarono il cambiamento del modo di pensare da parte dei
cristiani nei confronti del paganesimo. Non solo in Oriente, ma anche
in Occidente, si finì col capire che la politica integralista
seguita fino allora, fondata sulla soppressione dei templi o sulla
loro chiusura era disastrosa sotto tutti i punti di vista: sollevava
solo ostilità fra i due gruppi religiosi che dividevano
l’impero; era un vero crimine artistico consumato spesso a
danno di capolavori dell’antichità; era una spesa
costosissima per lo Stato che doveva pagare il lavoro di centinaia di
operai impiegati per lo smantellamento degli edifici pagani. Né
era una decisione saggia lasciare chiusi locali, spesso grandissimi
(templi, atri, abitazioni dei sacerdoti, boschetti sacri) senza
trarne alcun beneficio pubblico. Meglio, dunque, sarebbe stato
adattarli, con qualche ritocco architettonico, ad una nuova
destinazione: così si trasformarono i templi antichi in chiese
per il nuovo culto cristiano. Comunque il riuso dei templi per le
chiese fu evitato all’inizio, almeno fino a tutto il V secolo,
probabilmente perché la comunità cristiana sentiva
troppo il peso del culto precedente e degli dei pagani per sentirsi a
suo agio in quegli edifici, che riteneva abitati dallo
spirito maligno. Solo quando il
cristianesimo fu ormai saldo, e lontano il ricordo della vecchia
religione tanto avversa, si cominciò la conversione dei vecchi
templi. Questo processo a Roma durò fino al IX Secolo”.
(Lonardo)
VI
Sec. Tre inondazioni del Tevere
508 Forte terremoto. Riutilizzo dei materiali di edifici
pagani abbandonati.
Si diffondono calcare e fornaci (per tutto il Medioevo e
oltre)
Progressivo abbandono delle Catacombe.
Guerra Greco-Gotica 535-553, i Goti distruggono gli
acquedotti.
537-538 Sacco di Vitige v. Belisario –
Carestia
546 Sacco di Totila-Ostrogoti
568 Carestia. Arrivo dei Longobardi in Italia.
590-604 Papato di Gregorio Magno (64º
papa)
590 Epidemia di peste (oltre 15.000 morti)
Pop. Fine Secolo ≃ 30.000
“Il periodo successivo alla
deposizione di Romolo Augusto del 476, per convenzione considerata la
fine dell'Impero romano d'Occidente, vide l'instaurazione di nuovi
regni, detti regni romano-barbarici (oppure romano-germanici o
latino-germanici). Essi si erano andati formando nelle ex province
romane già a partire dalle invasioni del IV e V secolo. Di
fatto autonomi, venivano inquadrati come foederati.
Inizialmente anche i nuovi regni successivi alla caduta dell'Impero
d'Occidente rimasero spesso formalmente dipendenti dall'Impero romano
d'Oriente. I capi barbari erano al contempo reggenti per il monarca
di Costantinopoli e sovrani dei loro rispettivi popoli.
La cultura germanica non riuscì né sentì il
bisogno di eliminare quella romana e ogni popolo contribuì con
le proprie caratteristiche migliori nel dare vita ai regni
romano-barbarici.
Nonostante il ruolo distruttivo
che spesso i popoli invasori svolsero sulle terre invase soprattutto
nel momento iniziale della conquista, alcune fonti polemiche (ad
esempio il De
gubernatione Dei di
Salviano di Marsiglia) sostengono che le popolazioni provinciali
preferissero i nuovi dominatori germanici al rapace fiscalismo del
governo romano, tanto da indurre parte della popolazione a fuggire
dal territorio imperiale per trasferirsi nei territori controllati
dai barbari.” (Wiki)
“Gli eventi urbanistici tardo e post-imperiali furono un
succedersi infinito e sovrapposto di distruzioni, smantellamenti,
costruzioni, ricostruzioni e soprattutto interramenti, in una
ex-metropoli che da complessa e altamente organizzata
viene colpita da eventi naturali e bellici tali da ridurne la
popolazione del 95% nell'arco
di un tempo relativamente breve. Alla fine del VI Secolo questo
grosso calo di popolazione, conseguente alla lunga guerra
Greco-Gotica e al sacco di Totila, accompagnati da malattie (peste,
vaiolo e soprattutto malaria), rende l'Urbe abbandonata e in parziale
incuria. Anche le campagne sono state abbandonate, manca così
un approvvigionamento regolare di viveri, accentuando il rischio di
carestie. I maestosi complessi monumentali e termali, i
teatri, gli stadi ed i lussuosi giardini non hanno più ragione
di esistere e richiederebbero una manutenzione impossibile da farsi,
per assenza di risorse umane ed economiche. Il sistema fognario e gli
acquedotti sono da ripristinare. Del resto tutta l'Italia
è in ginocchio. Nonostante ciò, secondo i
testimoni dell'epoca, dopo le invasioni, i saccheggi e gli incendi,
l'Urbe brilla ancora del suo splendore imperiale. Ma
è semideserta; come ritengono gli storici, escluse le aree del
Velabro, del Foro e del Campo Marzio meridionale, è abitata a
macchie di leopardo. ” (Thomas)
“Nel VI secolo si hanno altri insediamenti di chiese in edifici
pubblici non cristiani come S.Maria in Cosmedin nella Loggia
dell’Ara Maxima di Ercole, SS. Cosma e Damiano in un
annesso del Templum Pacis, e forse S. Agnese in Agone nello
stadio di Domiziano (ancora in piedi).
A questo Secolo si possono datare gli istituti assistenziali che non
furono costruiti ex novo, ma riutilizzando antichi edifici
preesistenti, forse, donati da benefattori o di proprietà
della Chiesa o dello Stato: S. Stefano Rotondo nei Castra
Peregrina, S. Maria in
Cosmedin nello Statio Annonae,
S. Giorgio al Velabro nel Forum Boarium,
S. Teodoro, S. Maria Antiqua nell' Horrea Agrippiana,
S. Maria in via Lata nell' Edificio horreario,
S. Vito nel Macellum Liviae e
S. Maria in Domnica nei Castra Peregrina e Macellum
Magnum di Nerone. Nella zona del Foro sorse Santa Maria
Antiqua, eretta sui resti degli edifici imperiali.” (Lonardo)
“L’unico organismo
efficace e capace di tenere insieme la compagine sociale, economica e
politica
era la Chiesa. Con a capo Gregorio I Magno, controllava e
amministrava territori e mediava accordi
con i Longobardi per impedire uno scontro diretto. La Chiesa quindi
nel VI secolo assicurò con
i finanziamenti sia il decoro delle sue proprietà e la
protezione dei monasteri ma contribuì anche ad
aiutare i poveri e bisognosi con un vero e proprio programma di
assistenza, coprendo le mancanze
dello stato Bizantino.”
(Krautheimer)
“Papa S. Cleto (Anacleto),
morto martire nell’88 d.C., fu il primo a trasformare la sua
dimora in ospizio, adattandolo al ricovero di ammalati e bisognosi.
Ed il suo esempio fu imitato, tant’è che al tempo di
Papa Leone III (795-816) erano operative nella sola Roma 24 diaconie,
tra le quali “sanctae
Luciae qui ponitur in xenodochium qui appellatur Anichiorum, sancti
abba Cyri qui ponitur in xenodoxhium a Valeris, sanctorum Cosmae et
Danuani qui ponitur in xenodochiurn qui appellatur Tucium”.
Per la precisione le diaconie erano rivolte soprattutto ai bisognosi
di assistenza materiale (dar da mangiare agli affamati), mentre per
dare assistenza morale e sanitaria si andarono a realizzare gli
xenodochia (il più antico, di cui si abbia notizia, è
quello di Belisario, situato dove attualmente ha sede S. Maria in
Trivio, vicino a Fontana di Trevi).” (Ruffino)
“Lo xenodochium
è un termine greco-bizantino, che inizialmente indica un
ospizio per stranieri, e successivamente un luogo di accoglienza per
coloro che versano in stato di necessità.
Gli organismi assistenziali
possono trovarsi sia all’interno che all’esterno di un
monastero, sempre alle sue dipendenze e collocati lungo le vie del
pellegrinaggio. Probabilmente dovevano essere costituiti da semplici
stanze dove pellegrini, viandanti, poveri e malati potevano trovare
una sistemazione. Nelle normative imperiali si incarica il clero di
provvedere al mantenimento e al loro restauro. Ad esempio
nell’Admonitio
generalis si
raccomanda l’istituzione di hospitia
per ospiti di riguardo e per poveri e pellegrini: “perché
il Signore stesso dirà, nel gran giorno della ricompensa: ‘ero
straniero e voi mi avete accolto’”. (Daniele
Lamberti)
“Numerosi documenti
successivi alla fondazione di una struttura assistenzialistica
prevedono la donazione ad essa di beni mobili ed immobili,
evidentemente per consentirne il funzionamento; talvolta sono in
primo luogo i committenti a dotarla di rendite, così che
alcuni ospedali nel pieno Medioevo diventano economicamente autonomi,
quando non dotati di consistenti patrimoni fondiari. Un caso
altomedievale particolarmente interessante a questo proposito è
quello dell'ospedale romano posto in Naumachia, fondato da Leone III
e successivamente legato da Pasquale II al monastero delle Sante
Agata e Cecilia”. (F.R.
Stasolla)
“Degli xenodochia romani
non sopravvivono, né sono documentate strutture, se non
relative agli adiacenti edifici di culto. L'evoluzione degli
xenodochia di Roma, così come ci è sembrato sulla base
delle poche notizie di cui disponiamo, ripercorre con coerenza le
vicende di Roma tra tardo antico e altomedievo. Sembrano potersi
individuare alcuni momenti di profonda trasformazione: innanzitutto
all'epoca della guerra gotica, con il passaggio di consegne, alla
direzione della città,
tra la vecchia aristocrazia senatoria e il nuovo potere del papato.
Anche il servizio assistenziale
segue questo processo, e vediamo
gli xenodochia,
che testimoniavano nel loro stesso appellativo
l' evergetismo delle nobili
gentes
del clarissimato, passare in gestione alla Chiesa, che d'ora in poi
si preoccuperà in prima persona anche di incrementare il
servizio con nuove fondazioni. È probabile che anche i servizi
assistenziali abbiano usufruito dell'instancabile opera
organizzatrice di Gregorio Magno, anche se è facile correre il
rischio di sopravvalutare il suo operato, abbagliati dall'improvvisa
disponibilità di una eccezionale e ricchissima fonte quale è
il suo Epistolario.
Di certo gli xenodochia risentono
della crisi della prima metà dell'VIII secolo, dalla quale
escono malconci, diruta
et inordinata. Con
il IX secolo nuove forme di assistenza prendono
il predominio, e gli xenodochia
vedono progressivamente perdere la loro funzione. Anche in questo
campo, l'età carolingia si qualifica come momento di cerniera
tra le ormai esauste strutture ereditate dalla città tardo
antica e il nuovo assetto della città medievale.”
(Santangeli Valenzani)
“I Longobardi (etimo: dalla lunga barba) furono una popolazione
germanica, protagonista tra il II e il VI secolo di una lunga
migrazione che la portò dal basso corso dell'Elba fino
all'Italia. Entrati a contatto con il mondo bizantino e la politica
dell'area mediterranea, nel 568, guidati da Alboino, si insediarono
in Italia, dove diedero vita a un regno indipendente che estese
progressivamente il proprio dominio sulla maggior parte del
territorio italiano continentale e peninsulare.
Nel corso dei secoli, i Longobardi, inizialmente casta militare
rigidamente separata dalla massa della popolazione romanica, si
integrarono progressivamente con il tessuto sociale italiano, grazie
all'emanazione di leggi scritte in latino (Editto di Rotari, 643),
alla conversione al cattolicesimo (fine VII secolo) e allo sviluppo,
anche artistico, di rapporti sempre più stretti con le altre
componenti sociopolitiche della Penisola (bizantine e romane). La
contrastata fusione tra l'elemento germanico longobardo e quello
romanico pose le basi, secondo il modello comune alla maggior parte
dei regni latino-germanici altomedievali, per la nascita e lo
sviluppo della società italiana dei secoli successivi.”
(Wiki)
“Le origini del dominio
temporale dei papi possono essere considerate di fatto con la
progressiva dissoluzione del potere bizantino in Italia centrale e la
costituzione del Ducato romano (ultimi decenni del VI secolo); la
figura del papa venne prima ad affiancarsi, poi a sostituirsi, a
quella del dux
di nomina imperiale. Nell'Urbe e nell'Agro romano i papi subentrarono
ai suoi poteri, in primis nell'esercizio della giustizia di appello,
nella riscossione delle imposte, nella possibilità di imporre
la fedeltà politica e l'aiuto militare ai vassalli loro
sottoposti. In seguito, alla caduta dell'Esarcato d'Italia e alla
fine del dominio dell'Impero bizantino sull'Italia
centro-settentrionale, i papi divennero pienamente possessori di
poteri sovrani nell'Italia centrale. Furono invece di diritto le
donazioni carolinge; oltre a esse, la Donazione di Sutri (728), la
Promissio Carisiaca
(754 e 774)
e la Constitutio
Lotharii (824) furono
altrettante basi fondanti dello Stato Pontificio.
La debolezza della classe senatoriale, decimata dalle guerre gotiche
ed emigrata in gran parte a
Costantinopoli, la lontananza da
Roma dell'esarca che manteneva la propria residenza a Ravenna e, non
ultimo, il prestigio personale di alcuni grandi papi, fecero sì
che il pontefice divenne, di fatto, la massima autorità civile
del Ducato romano. Gli imperatori bizantini lo percepirono in alcuni
casi come un contropotere rispetto a quello ufficiale dell'esarca.
Per quanto riguarda la difesa della città, il pontefice
promosse la creazione di una milizia locale (exercitus),
costituita inizialmente dalle scholae
(corporazioni che radunavano i residenti di varie nazionalità),
dalle corporazioni di mestiere e dalle associazioni rionali. La
milizia, insieme al clero e al populus
(i capi delle grandi famiglie) ottenne il diritto di partecipare alle
elezioni papali.
Da papa Bonifacio V (625) ogni
pontefice, dopo l'elezione, si rivolse direttamente all'esarca per
ottenere l'approvazione imperiale. Papa Zaccaria fu il primo
pontefice a non chiedere conferma della propria elezione né a
Ravenna né a Costantinopoli. ”. (Wiki)
VII
Sec. Tre inondazioni del Tevere
618 Terremoto
Trasformazioni nel Campidoglio. VIII
Sec. Numerosi restauri di papa Adriano I
Diffusione dei campanili.
791 Inondazione del Tevere
Popolazione ≃ 40.000
“Durante il VI e VII Secolo era frequente che anche dimore
private fossero ricavate nei monumenti
pubblici in rovina; prese consistenza l'uso di seppellire i morti
dentro la città, contravvenendo alla
legge romana; non sporadicamente o furtivamente, ma in sepolture
qualificate e corredate da
iscrizioni. Il collasso della città antica sembra ormai
compiuto e per quasi due secoli non ci sarà
riqualificazione urbana. Viene meno una società complessa ed
evoluta, sostituita da una impotente
e primordiale che vive tra i resti dell'antica città ma in
condizioni non più cittadine. (…)
Decadenza o trasformazione? Cassiodoro non lamenta una
situazione catastrofica, un certo decoro imponeva un controllo ed una
cura degli edifici in uso, cercando di tenere sgombre le strade da
macerie e immondizie; inoltre Teodorico regolava per legge lo
smontaggio dei monumenti antichi, oramai diventati cantieri. La
ridotta popolazione ha interesse a mutare i criteri
di gestione e uso della città, riorganizzando l'insediamento
all'insegna della comodità, delle opportunità e del
risparmio.” (Delogu)
L'impianto
topografico è grosso modo ancora quello imperale e le strade
mantengono lo stesso nome latino.
I rischi legati ai roghi, accidentali o deliberatamente provocati
(specie dai saccheggiatori),costituivano ancora una delle minacce più
gravi al regolare svolgimento delle attività e alla
sopravvivenza della comunità urbana, e l'azione spontanea
dei popolani era incentrata quasi esclusivamente
sull'improvvisazione. Nel periodo alto-medievale prevaleva un
atteggiamento fatalistico e di sfiducia, in quanto le calamità
e i roghi di vasta portata venivano identificati per lo più
come castighi divini. Significativa in tal senso è la cronaca
secondo la quale, nell'anno 847, durante l'incendio verificatosi nel
quartiere di Borgo, fu papa Leone IV ad intervenire personalmente per
domare le fiamme, sulle quali gettò i propri paramenti sacri
provocandone l'estinzione. Altro "metodo" per scongiurare o
affrontare gli incendi e i disastri era quello di portare in corteo
le spoglie del santo protettore o altre reliquie e simulacri. Questi
elementi testimoniano il senso d'impotenza delle genti del Medioevo
di fronte ad eventi di quel tipo e il loro rifugiarsi
all’interno di un atteggiamento passivo, che concorse ad
impedire la presa di coscienza necessaria a dare impulso a
organizzazioni in grado di fronteggiare le sventure legate al fuoco.
Nell'VIII secolo Carlo Magno iniziò a ripristinare un sistema
organizzato di prevenzione ed estinzione degli incendi:
pur non eguagliando ancora l'efficacia della militia vigilum
d'epoca imperiale, fu il primo serio tentativo
di ripristinare un servizio la cui assenza si era fatta pesantemente
sentire. (vigilfuoco)
“Nel
primo decennio del VII secolo si rileva un importante intervento: non
si tratta di una nuova costruzione, ma della trasformazione del
Pantheon
in edificio di culto cristiano, con dedica alla Vergine e ai martiri,
ad opera di Bonifacio IV, per concessione dell’imperatore Foca.
L’occupazione cristiana nel 609 dell’antico tempio fu
prima di tutto un atto di grande rilievo politico, in secondo luogo
ebbe anche una rilevante valenza urbanistica in quanto Santa
Maria ad Martyres venne
a costituire un polo importante nel Campo Marzio che nel medioevo
aveva la massima concentrazione abitativa della città. Nel 735
Gregorio III fece ricoprire la cupola con lastre di piombo in luogo
di quelle di bronzo asportate nel 655 dall’imperatore Costante
II. Il Pantheon,
una volta consacrato al culto cristiano, deve essere stato per molto
tempo l’unica grande chiesa situata nella parte orientale del
quartiere che poi divenne il centro della città.”
(Lonardo)
“Nell'ottavo Secolo papa
Adriano I s'impegnò in numerose opere edilizie e sociali,
restituendo a Roma quell'aspetto di monumentalità che l'aveva
caratterizzata nel periodo dello splendore imperiale. Tra le opere
principali: la ristrutturazione degli argini del Tevere che
un'inondazione nel 791 aveva danneggiato, il restauro di alcuni degli
antichi acquedotti romani, con una più capillare distribuzione
idrica nella città, e la ristrutturazione delle mura, con
nuove e più adeguate fortificazioni. Notevoli e numerosi i
suoi provvedimenti nel campo dell'edilizia religiosa: la basilica di
San Pietro e il suo campanile, con interventi sia esterni che interni
non solo di pura edilizia ma soprattutto di arricchimento e
miglioramento artistico (statue, mosaici, ecc.), con abbondante
(ri)utilizzo di materiali pregiati. “A partire dal secolo VIII
un’intensa attività edilizia interessò l'area del
Laterano, che si venne via via costellando di monasteri, di cappelle
e oratori (S. Silvestro,
S. Tommaso, S. Nicolò, S.
Venanzio, S. Lorenzo, SS. Salvatore), di abitazioni, mulini,
cisterne, botteghe, locande e ospizi per i pellegrini e abbeveratoi
per animali (alimentati dal vicino acquedotto neroniano riparato
intorno al 1120), tanto che nel sec. XII il Patriarchìo
era ormai l'epicentro di un borgo abbastanza consistente.”
(F.A. Angeli) Altri
vecchi templi pagani furono trasformati in chiese: S. Nicola dei
Cesarini, nell'area sacra di Torre Argentina; S. Nicola in carcere,
presso i templi del foro olitorio; S. Maria Nova, sul colle della
Velia; Santa Maria Egiziaca nel Tempio di Portunus; S. Lorenzo in
Miranda nel Tempio di Antonino e Faustina; S. Silvestro in Capite nel
Tempio del Sole; S. Omobono nei templi gemelli di Fortuna e Mater
Matuta, sotto la rupe Tarpea.” (Wiki)
Con papa Pasquale I furono inoltre ricostruite le basiliche di S.
Maria in Domnica e di S. Cecilia in Trastevere. Roma stava diventando
la città dalle mille chiese.
IX
Sec. Quattro inondazioni del Tevere
801, 847 o 849 Terremoti, il secondo molto forte.
848-852 Costruzione delle Mura Leonine
846 Incursioni dei
Saraceni
“Dall'alleanza coi Franchi il papato trasse certamente due
vantaggi: sicurezza del dominio e nuove fonti di reddito. La
sostituzione dei re bizantini con quelli carolingi liberò i
territori dalla minaccia sempre incombente di una rivincita
longobarda. (…) L'esercizio della giurisdizione produceva
tributi, pedaggi, diritti di zecca, multe, confische, cui si
aggiungevano i redditi delle numerose proprietà fondiarie
incamerate dalla Chiesa romana in tutto il Lazio. La combinazione di
questi cespiti rese possibile la straordinaria attività di
riorganizzazione e abbellimento dell'impianto urbanistico e
monumentale iniziata da Adriano I e Leone III. Si realizzarono il
restauro delle chiese fatiscenti, il ripristino delle mura e degli
acquedotti; il potenziamento del complesso lateranense; le
infrastrutture della viabilità e dell'accoglienza intorno a S.
Pietro; l'abbellimento di tutte le chiese con lampade e vasi d'oro e
d'argento e con tessuti preziosi. Parliamo
di ottomila chili d'argento e più di mille chili d'oro, e
inoltre duemila pezze di tessuti e broccati, che all'epoca valevano
quanto i
metalli preziosi.” (Delogu)
“Grazie alla collaborazione con i funzionari archeologi della
Soprintendenza di Roma, della Provincia e del Comune, nel corso degli
anni sono state acquisite informazioni sulle tracce archeologiche di
terremoti del passato, nello specifico per il periodo compreso tra il
V e il IX secolo d.C. In particolare, dalle stratigrafie
archeologiche emerge che probabilmente a causa dell’elevata
vulnerabilità degli edifici – di età
plurisecolare, spesso senza manutenzione per secoli o privi di parti
originarie per la prassi della spoliazione – lo scuotimento
sismico ha contribuito in misura non trascurabile ai cambiamenti del
paesaggio urbano, alimentando la formazione di contesti ruderali o
comunque degradati. In sostanza, proprio per l’elevata
vulnerabilità dei fabbricati è possibile che gli
effetti dei terremoti del passato siano stati superiori a quelli
meglio noti dalle fonti storiche relative ai terremoti più
recenti (es. 1703 e 1915). Le fonti scritte citano cinque terremoti
per il periodo compreso tra il V e il IX secolo. Per alcuni di questi
eventi, ad esempio quello avvenuto nel 443d.C., sono menzionati danni
nell'Urbe. Al contrario, non sono riportati danni in riferimento al
terremoto dell’847. In quest’ultimo caso le stratigrafie
archeologiche completano l’informazione storica, permettendo di
ipotizzare che danni consistenti abbiano interessato l’attuale
settore centrale di Roma proprio in occasione di questo evento. Si
può vedere che nel caso citato l’archeologia porta un
arricchimento sostanziale delle conoscenze sugli effetti dei
terremoti del passato. Questo aspetto è fondamentale, se si
considera che proprio sulla storia sismica di un territorio si basano
le stime di pericolosità, cioè quelle valutazioni che
consentono di definire la probabilità di occorrenza di un
certo tipo di scuotimento sismico in un dato intervallo temporale.
Certamente i collassi – spesso verticali – di interi
edifici sono gli effetti più sorprendenti, considerando che si
tratta dell’attuale centro storico di Roma. Questa dinamica di
crollo è riscontrabile sia per l’edificio nei
sotterranei di Palazzo Spada, sia per la struttura di pertinenza di
un’aula del Foro di Traiano rinvenuta nel corso degli scavi
Metro C di piazza Madonna di Loreto, sia per le cosiddette “Piccole
Terme” nei sotterranei del Palazzo Valentini.
Gli scavi degli ultimi anni hanno portato alla luce veri e propri
cumuli di macerie legate al crollo improvviso di fabbricati ancora in
uso al momento della distruzione, in un quadro generale per cui è
difficile ipotizzarne la fine per inconsistenza strutturale. Rispetto
a queste imponenti unità di crollo, gli effetti dei terremoti
del passato tradizionalmente associati a monumenti esposti e fruibili
come il Colosseo, il tempio di Marte Ultore, quello di Venere
Genitrice o quello di via delle Botteghe Oscure sono meno
immediatamente definibili.
I forti eventi sismici che hanno interessato Roma fin dall’Antichità
hanno avuto un notevole impatto nell’evoluzione delle forme
dell’anfiteatro. E’ noto che il Colosseo forse subì
danni nel 443 e certamente poco prima del 484 o del 508. Sappiamo,
dagli studi archeologici di Rossella Rea, che quest’ultimo
evento sismico provocò il crollo parziale del colonnato del
portico nella summa cavea; in particolare, la caduta di una ventina
di colonne comportò la distruzione dei settori nord-est e
sud-est; un’altra porzione del colonnato crollò nel
settore occidentale. I restauri riguardarono l’arena e il
podio, come si può evincere dalle iscrizioni gemelle poste
all’ingresso del monumento.
Il Colosseo però subì danni ingenti anche in occasione
dei terremoti successivi. Per esempio, nel 1349 si ebbe il collasso
delle arcate esterne nel settore meridionale. In sostanza, quanto noi
oggi vediamo è in parte il risultato dei danni sismici.”
(Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia)
“Credendoli finalizzati
alla propria
autonomia, il popolo romano sosteneva gli sforzi del papato, ma
divenne il suo peggior antagonista una volta che il pontefice ricorse
a poteri stranieri per regolare
l'ordine
nella città. Le nuove famiglie aristocratiche
come i Crescenzi e i Tuscolani controllavano l'istituzione
pontificia, governando con essa. Questi nuovi senatori, dal tipo di
vita strettamente militare, giocavano con le alleanze matrimoniali al
fine di mantenere la coesione dei lignaggi.” (Vauchez)
“Il
Colosseo, di proprietà dei Frangipane, era abitato da
centinaia di persone che vivevano in promiscuità e insieme
agli animali. Nascevano i nomi nuovi del popolino, spesso legati a
nomignoli sarcastici, come ad esempio i Collotorto, i Cinquedenti, i
Boccapecora, i Centoporci, i Cortabraca.
In
questi anni si assiste ad un progressivo abbandono delle zone del
Foro a favore di quelle del Campo Marzio, nell'ansa del fiume.”
(Vincenzo
RG)
Già nell'830
pirati saraceni avevano devastato le aree abitate della campagna
romana, giungendo fino alle basiliche di San Pietro e San Paolo e
penetrando fino a Subiaco, dove vennero distrutti l'abitato e il
Monastero. Sedici anni dopo l'attacco fu ripetuto, con maggiore
violenza: nella notte tra il 24 e il 25 agosto dell'846 i pirati
saraceni, dopo aver attaccato e saccheggiato Centumcellae, Porto e
Ostia, si spinsero fino a Roma.
Non riuscendo a
penetrare all'interno delle mura cittadine, distrussero e depredarono
i dintorni della città saccheggiando per la seconda volta le
basiliche di San Pietro e San Paolo. San Pietro era difesa da una
guarnigione di soldati composta da Franchi, Longobardi, Sassoni e
Frisoni che, nonostante un'accanita resistenza, venne completamente
sterminata.
Nell'anno
849 si seppe che i saraceni stavano allestendo una nuova flotta che
avrebbe attaccato nuovamente Roma. In questa occasione Gaeta, Napoli,
Amalfi e Sorrento misero a disposizione le proprie navi, le quali si
posizionarono tra Ostia e la foce del Tevere. Condotta da Cesario, la
flotta andò all'attacco appena vide all'orizzonte le vele
delle navi nemiche sbaragliandole e facendo molti prigionieri.
Durante lo scontro, definito come battaglia di Ostia, molte navi
saracene furono affondate mentre le restanti, anche a causa di
un'improvvisa tempesta, fuggirono. (Wiki)
“Di
monasteri ormai se ne cita più di una quarantina, ma di essi
v’era in Roma un numero assai
maggiore. In
vicinanza del san Pietro s’ergevano cinque conventi, ed erano
quelli di Stefano
Maggiore o
Protomartire (detto anche di Catagalla Patrizia), di Stefano Minore,
di Giovanni e
Paolo, di Martino e
il chiostro di Gerusalemme. In prossimità del Laterano si
menzionano: Pancrazio, Andrea e Bartolomeo col nome di Ilonori che è
già cognito all’Anonimo di Einsiedeln,
Stefano,
e un convento di monache dal nome di Sergio e Bacco. Presso a santa
Maria Maggiore erano questi conventi: Andrea, detto anche di
Catabarbara Patrizia che forse è identico di quello di Andrea
in Massa Juliana; Cosma e Damiano, Adriano, detto anche di san
Lorenzo. Tutti avevano l’addiettivo ad
Praesepe.
Vicino al san Paolo fuor delle porte, stava il convento di Cesario e
Stefano col soprannome ad quatuor angulos; prossimo al san Lorenzo
fuor delle porte, era quello di Stefano
e Cassiano. Altri
monasteri romani erano i seguenti : Agata super Suburram, Agnese fuor
di porta
Nomentana, Agapito
presso il Titolo di Eudossia, Anastasio ad Aguas Salvias, Andrea nel
Clivus
Scauri, Andrea
presso i santi Apostoli, Bibiana, Crisogono nel Transtevere, un
convento presso il
Caput Africae, il
chiostro de Corsas o Caesarii nella via Appia, il convento de Sardas
probabilmente
situato
presso al san Vito, Donato in vicinanza alla santa Prisca sul monte
Aventino, Erasmo sul Celio, Eugenia fuor di porta Latina, Eufemia e
Arcangelo in prossimità alla santa Pudenziana, il convento duo
Furna probabilmente in Angone nell’odierna piazza Navona,
Isidoro che era forse sul monte Pincio, Giovanni sull’
Aventino, il convento de Lutata, quello detto Laurentius Pallacìni
in vicinanza al san Marco, il convento appellato Lucia Renati, in
Renatis o de Setenatìs, Maria Amòrosii che è
probabilmente lo stesso di quello chiamato Ambrosii de Maxima nel
Forum
Riscarium,
Maria Juliae nell’ isola Tiberina. Vi erano inoltre : un
convento di monache dedicato a Maria in Campo Marzo e 1’altro
di Maria in Capitolio, i quali due, sebbene non menzionati nel
catalogo delle fondazioni di Leone III, erano a quel tempo per certo
di già fondati: Michele, ignoto; il chiostro Tempuli Silvestro
(de Capite), santo Saba o Cella Nova, il convento Semitrii, ignoto ;
quello di Vittore presso san Pancrazio nella via Àurelia.
In
quell’età non s’ erano ancora costituite le venti
abbazie, che più tardi sorsero dai conventi venuti a numero sì
grande da renderne difficile il conto. La loro copia crebbe ognor
più, e sulla fine del secolo decimo affermavasi che in Roma
v’aveva venti conventi di monache, quaranta di frati e sessanta
di canonici ossiano preti viventi sotto regola claustrale.”
(Gregorovius)
X-XI
Sec. Tre inondazioni del Tevere
1044 Terremoto
1084 Sacco dei Normanni di Roberto il Guiscardo.
Pop. Urbe >40.000 – Italia ≃
8.000.000 – Europa ≃ 40.000.000
Nei Secoli X e XI Roma era
sprofondata nel suo periodo più buio: pontificati della
durata di un paio di settimane (49 Papi in due Secoli), congiure,
assassinii, resero la città mal governata e teatro di crimini
sanguinosi.
Guglielmo di Malmesbury, rivolgendosi a papa Gregorio VII non ha peli
sulla lingua: “Cosa c’è nella città di Roma
un tempo sede della santità? Nel Foro vagano sicari e tutto
quel genere di uomini infidi e inclini al male. Adesso sul sepolcro
dei santi si vanno a ubriacare?”
Bernardo da Chiaravalle, abate e teologo francese dell'ordine
cistercense, era dello stesso avviso.
L'espressione saeculum
obscurum fu coniata in
tempi moderni per caratterizzare come cupo e
disastroso il periodo della storia del papato che va dall'888 (quando
l'autorità imperiale venne meno,
gettando l'Europa nel caos politico) al 1046 (cioè l'inizio
della riforma gregoriana), con rare
eccezioni, come quella di papa Gerberto di Aurillac (Silvestro II,
primo papa francese) che insieme
all'imperatore Ottone III -
duramente osteggiati dai Crescenzi - cercò di porre un freno
a simonia
(il
commercio peccaminoso di beni sacri) e
nicolaismo
(l'atteggiamento
di opposizione al celibato
ecclesiastico),
frequenti
nella Chiesa di fine millennio.
“Nella Roma del Mille, i
ricchi erano pochi ed i poveri molti, e questi ultimi sopravvivevano
grazie
alle elemosine dei primi, che le donavano ai poveri solo per paura di
finire all’inferno e per salvarsi
l’anima”.
(Krautheimer)
“Col termine Romei s'indicavano, in età
medievale, i pellegrini cristiani che da ogni parte d'Europa si
recavano a Roma per venerare nella sua basilica il sepolcro di Pietro
e la basilica in cui erano sepolte le spoglie di Paolo. La via più
nota da essi percorsa era la via Francigena che, da oltralpe,
attraversava di preferenza il passo del Monginevro per poi
intraprendere il cammino verso la Città Eterna. Se il più
antico resoconto d'un pellegrinaggio a Roma viene datato al 990, la
pratica di recarsi a visitare luoghi santi della Cristianità
risale a molto tempo prima.” (Wiki)
“Immenso era ancora il numero di edifici antichi, magnifiche
rovine che mostravano ad ogni passo delle generazioni dei vivi la
grandezza del passato, la meschinità del presente. (…)
I pontefici, che in un primo tempo avevano considerato i monumenti
proprietà dello Stato, presto non ebbero più né
voglia, né tempo, né potere sufficienti per curarsi
della loro esistenza.
Ai Romani fu concessa libertà di saccheggio; i preti
trascinavano colonne e marmi nelle loro chiese, nobiltà e
clero costruivano torri su splendidi monumenti antichi, gli artigiani
aprivano nelle terme e nei circhi fucine, filande e botteghe. Quando
il pescatore, il macellaio o il fornaio esponevano la loro merce,
questa si presentava su lastre di marmo ove un tempo assisero i
dominatori del mondo. Sarcofaghi erano sparsi dappertutto e usati
come serbatoi d'acqua, mastelle per il bucato, trogoli per i maiali.
Il desco di un calzolaio o del sarto era il cippo di un illustre
Romano o una lastra alabastrina su cui nobili matrone un tempo
spargevano le loro gemme. Su tutte le piazze, per tutte le vie, lo
sguardo cadeva su opere d'arte ancora erette, oppure cadute o
mutilate. (...)
Ma la capacità di apprezzare l'arte era andata perduta, e gli
stessi Romani consideravano tutto ciò come materiale da
costruzione. Da secoli Roma era
un'immensa cava, dove si gettavano i marmi
più splendidi per fonderli
e ricavarne calcina. Tutti saccheggiavano e distruggevano Roma
Antica, sfasciavano, frantumavano, bruciavano, trasformavano, senza
mai riuscire tuttavia a darle fondo.”
I palazzi imperiali del Palatino erano ancora visibili, colossali
rovine folte di sculture d'ogni specie. Parecchie sale avevano ancora
alle pareti preziosi rivestimenti, altre erano adorne di tappezzerie
intessute d'oro, stanze da letto con le pareti rivestite di sottili
lamine d'argento e piombo. Il colle Palatino doveva essere allora
scarsamente abitato, poiché vi sorgevano solo poche e piccole
chiese. Il maestoso Settizonio, proprietà del convento
di San Gregorio era già stato trasformato in fortezza. I
monaci di quel cenobio possedevano anche l'arco di Costantino, già
sopraelevato e trasformato in torre. (…) Il Circo Massimo ed
il Colosseo, benchè maltrattati dalle intemperie, conservavano
gran parte dei muri esterni e delle file di sedili. Ovunque templi,
portici, basiliche erano sparsi in grandiosa desolazione. Il Romano
del X Secolo si aggirava fra resti senza numero: colonne, architravi
e figure marmoree, e di fronte a quella solitudine affollata di
leggende, a quella frantumata maestà, doveva provare una
commozione inesprimibile. Un profondo silenzio copriva i Fori
Imperiali. Il Foro di Augusto era ridotto a un tale ammasso di
rovine e di alberi che il popolo lo chiamava Hortus mirabilis.
Sopra le maestose rovine delle biblioteche e delle basiliche Ulpie si
ergeva ancora, fermissima, la colonna Traiana. (…) Campo
Marzio era un mondo di meraviglie mezzo sepolto dalle macerie. Vi
abitavano, sotto le buie volte delle rovine, uomini in condizioni
miserrime. Sui mucchi di detriti essi piantavano il cavolo e la vite.
Dai cumuli di pietre si formavano vicoli che conducevano a chiese,
dalle quali traevano origine e nome. Nel Campus Agonale,
l'odierna Piazza Navona, sui marmi dello Stadio di Domiziano era
stata già costruita più di una chiesa: su un lato la
diaconia di Sant'Agnese in Agone; di fronte la parrocchia di
Sant'Apollinare, eretta probabilmente sulle rovine del Tempio di
Apollo; anche il convento di Sant'Eustachio aveva delle proprietà
in questa regione.” (Gregorovius)
Dal tempio circolare di Ercole Vincitore venne ricavata la chiesa di
S. Stefano Rotondo, poi rinominata S. Stefano delle Carrozze per non
confonderla con l'omonima chiesa del Celio e quindi Santa Maria del
Sole. E tutt'intorno prati e vigneti a perdita d'occhio, fino alle
grandi mura diroccate all'estremo Est.
“Pasquale II, primo papa dopo quindici anni a risiedere
stabilmente a Roma, restaurò e ricostruì ad un livello
più alto diverse chiese dell'Urbe. In particolare la basilica
dei SS. Quattro Coronati, distrutta nel Sacco dei Normanni. La
basilica paleocristiana di S. Clemente, fu interrata e ricostruita ad
una quota più alta di circa 4 metri. Inoltre si provvide il
rialzamento di 2-4 metri di molti dei livelli stradali più
frequentati della città, comprese le aree adiacenti.
A Pasquale II si
deve però la distruzione del Mausoleo dei Domizi - Enobarbi,
che ancora accoglieva i resti dell'imperatore Nerone, da lui - in
virtù della storiografia cristiana antica - considerato un
anticristo con il falso potere di risorgere; al posto del sepolcro
distrutto fu eretta una cappella, nucleo originario della Basilica di
Santa Maria del Popolo”. (Wiki)
“A livello
archeologico si assiste in varie zone della città
all'abbandono degli insediamenti sorti nel IX e nel X secolo,
rapidamente obliterati da potenti strati di interro, tanto che le
insulae
venivano abitate dal primo piano in su. L'anno 1000 rappresenta
realmente uno dei momenti cruciali attorno
a cui si organizza
la vicenda delle trasformazioni topografiche e urbanistiche della
città e può essere
considerato il punto
d'avvio del processo di formazione della città bassomedievale
e rinascimentale, la cui struttura urbana, nonostante le devastazioni
del XIX e XX secolo, è ancora alla base della città di
oggi.” (Meneghini-Santangeli)
XII
Sec. 1143 nasce il Comune di Roma.
Due inondazioni del Tevere.
Ricostruzioni/interramenti di papa Pasquale II.
Costruzione di torri baronali e fortificazioni.
XIII
Sec. Due inondazioni del Tevere
Ristrutturazione di molte chiese. Si diffonde l'immagine
del crocefisso.
1231 Terremoto
“Durante la prima metà del XII Secolo le insistenti
spinte autonomistiche cittadine portarono alla renovatio Senatus,
ossia al rinnovamento dell'antica istituzione del Senato, ricreato
dal popolo romano nel 1143, in opposizione al potere del papa, delle
gerarchie ecclesiastiche e delle grandi famiglie. La nuova assemblea
si componeva di 56 membri (forse 4 per ogni rione cittadino). Il
nuovo organismo, cercò di ritagliarsi un ruolo nella contesa
tra papato e impero, ma era privo di un effettivo potere.
Il Palazzo Senatorio in Campidoglio divenne
il municipio della città, il più antico al mondo.
Nacquero
i Rioni, i quali portavano i nomi delle contrade
rappresentative: Monti, Trevi, Colonna,
Campo Marzio, Ponte,
Sant'Eustachio, Regola, Parione, Pigna, Sant'Angelo, Ripa, Campitelli
e Trastevere. In questo contesto Arnaldo da Brescia fu una figura
emergente della renovatio
Senatus
come riformatore religioso di notevole eloquenza e con una forte
avversione per l'istituzione tradizionale ecclesiastica; egli si pose
quindi a guida del movimento antipapale e autonomistico romano.”
(Wiki)
“La
riapertura della zecca per iniziativa del senato cittadino alla fine
del XII secolo e l’aumentata circolazione monetaria
rappresentarono per la città un evento importante”. (A.
Molinari)
“L'evoluzione
politica della Chiesa rinforzò il potere (specie economico)
dei Cardinali e quindi
delle loro famiglie e delle loro clientele, che si arricchirono
enormemente; questo fenomeno provocò l'emergere di un nucleo
ristretto di lignaggi, quello dei Baroni, che si distaccarono dal
resto
dell'aristocrazia
e per più di un secolo dominarono la città e lo Stato
Pontificio.” (Vauchez)
Roma in epoca comunale diventa turrita e fortificata, ma anche ricca
di chiese e conventi. L'affermarsi delle ricche famiglie baronali,
spesso in guerra fra loro, aveva ridefinito il potere nella città.
Tracotanza e soprusi disegnano una città parallela, che vive
di
clientelismo, violenza e corruzione: nel XIII Secolo acquistavano
potenza gli Orsini, i Savelli, i Cenci e i Colonna, poi c’erano
i Conti, gli Annibaldi, i Caetani, i Mattei. (Thomas)
“Queste famiglie avevano almeno una torre/fortezza per
difendere le rispettive zone di influenza:
gli Orsini a Castel Sant'Angelo, i Colonna divengono padroni del
Mausoleo di Augusto, i Savelli
del Teatro di Marcello, i Caetani della via Appia e gli Annibaldi di
buona parte del Colosseo.
I Conti optano per la costruzione di due enormi torri, ancora oggi
esistenti, attorno alle quali si
agglomerano altri edifici collegati da una alta muraglia difensiva.
Altri rami degli Orsini e dei
Colonna decidono di costruire le loro fortezze sulle alture di
Montegiordano e Montecitorio.
Nella maggior parte dei casi si collegano edifici già
esistenti in modo da formare un blocco
fortificato chiamato castrum. Ancora, gli Orsini si
appropriano anche di un'altra grande area: attorno
al Teatro di Pompeo nascono due potenti fortilitia, conosciute
con i nomi di Arpacasa, vicina a
Campo de' Fiori e Pertundata, sul lato dell'odierna via
Arenula. Questi due complessi avranno
un'unica cinta muraria e saranno dotati di altre tre torri. I castra
hanno superfici paragonabili ai
villaggi fortificati baronali del Lazio e in caso di conflitti sono
pronti ad accogliere centinaia di
uomini. Il 26 maggio del 1312 è ricordato per la cruenta
battaglia fra Orsini e Colonna che vide
l'imperatore
Enrico VII fermato prima di entrare nel Borgo.”
(Vigueur)
Brancaleone degli Andalò, di nobile famiglia bolognese, fu
nominato Capitano del popolo dal Comune di Roma per trovare le
contromisure alla violenta anarchia dei Baroni.
Egli tenne testa agli Annibaldi e ai Colonna e si presume che fece
abbattere ben 140 torri delle 300 che si ergevano sulla città
e rinpinguò le casse comunali esigendo tutte le tasse
arretrate. Il simbolo dell’arroganza baronale veniva così
decisamente colpito. Brancaleone morì in circostanze
misteriose a 38 anni.
I
Mirabilia Urbis
Romae,
facenti parte della letteratura periegètica (il periegèta
presso gli antichi greci era la persona incaricata di guidare i
forestieri nella visita di templi e monumenti), erano l'equivalente
delle moderne guide di viaggio, che servivano ai pellegrini che si
recavano a Roma e li guidavano per tutto il percorso. I primi
Mirabilia nascono nel XII secolo, sono manoscritti e rimarranno tali
fino al Barocco, quando inizieranno ad essere stampati.
“Tante sono le torri e i
campanili da sembrare spighe in un campo di grano, tante le
costruzioni dei palazzi che a nessun uomo riuscì mai di
contarle”. Questo
scriveva mastro Gregorius, un colto
inglese di Oxford, contemplando la grande città da monte
Gaudio (Monte Mario) nel XIII Secolo.
“L'Urbe è protetta da
una possente cinta muraria lunga quasi 10 leghe (20 Km.) e alta 3
pertiche
(6 metri). Vi si accede attraverso
diciotto porte, alcune di aspetto monumentale, e nel suo perimetro si
contano trecentottantuno torri di guardia. Queste mura, dette
aureliane, a Ponente seguono il fiume cingendo
il rione di Transtevere
fino a porta San Pancrazio; a Oriente, con un percorso
ondeggiante, corrono su tre colline parallele: il
monte Cavallo o
Quirinale, il monte Viminale e il monte Esquilino;
i primi due, poco abitati, sono tenuti a vigne e orti, e si
incontrano sovente ruine di antiche fabbriche invase dalla natura:
prime fra tutte per grandiosità le terme Diocleziane.
Sull'Esquilino si erge la basilica di Santa Maria Maggiore,
seguita da un vicus che scende verso la piana, sotto due
montagnole, l'Oppio e il Fagutale, fino
alla Suburra.
Sulla riva destra del Tevere
dominano la vista Castel Sant'Angelo e la basilica Sancti
Petri con il suo Borgo, protetti
dalle mura leonine; più giù, come detto, l'affollato
rione di Transtevere e alle loro spalle un irto colle, il
Gianicolo. Proprio davanti al rione
transteverino sta l'isola di San Bartolomeo.
La riva sinistra e la regione
retrostante sono dette in Campo Marzio: una grande piana
disegnata
dall'ansa del fiume che è la parte più abitata
dell'Urbe. È una
ragnatela di contrate, ove si trovano
opere magnifiche come la
colonna Antonina, la chiesa di Santa Maria della Rotonda e la
Platea
Agonis, su quello che
era lo Stadium di Domiziano. Emergono le torri baronali: Tor
dei Millini,
Tor Sanguigna, Torre del Papito, Torre Colonna e
numerose altre.
Il limite orientale del Campo Marzio è la via Lata, una
lunga strada dritta che taglia la città. Dalla porta Flaminia
essa arriva alla basilica di San Marco fin sotto al Capitolio,
ovvero l'altura a dirupo con le
rovine del tempio di Giove, il palazzo senatorio e il monastero di
Santa Maria in Capitolio.
Ai suoi piedi si erge la colonna Traiana, con la minuscola chiesa di
San Niccolò de Columna
e la contrata di campo Carleo. Dietro
al Capitolio affiorano
le rovine del Foro Romano,
oramai espoliato dei marmi in quanto fangoso e per buona parte
lasciato a pascolo. Rimangono solo i suoi archi trionfali mezzo
sepolti e qualche statua mutilata fra le ruine. Adiacente v'è
il caseggiato detto in campo Torrecchiano per
le torri baronali che anche lì sorgono. E ancora orti e
vigneti, di proprietà delle chiese e dei monasteri vicini.
Lasciati indietro il Foro e la collina della Velia ecco il Coliseo,
maestoso anfiteatro di travertino,
il più grande che si possa vedere al mondo. Ora è
un'insieme di abitazioni ricavate nelle cavee
e negli ambulacri e il
resto cava per materiale da costruzione.
Meridionali al Coliseo
tre modeste alture: il monte Palatino, un tempo dimora degli
imperatori, il monte
Aventino e il monte Celio, dove tra prati e vigne sorgono
le prime storiche basiliche dei martiri cristiani. Il Campus
Lateranensis, con le sue fabbriche, situato sulla propaggine
orientale del
Celio, è la residenza papale; attorno si è formato un
vivace borgo abitato, una città nella città.
Non lontani s'incontrano l'Acquedotto Claudio e la basilica di
Santa Croce in Gerusalemme, dove sono conservate le sacre reliquie
della Passione”. Sebbene questa si trovi dentro le mura è
l'estremo
opposto al Campo Marzio; il papa per recarsi al Vaticano impiegava
quasi due ore di viaggio in carrozza. Quando si va in processione
da San Pietro fino a San Giovanni in Laterano si segue il
vecchio itinerario che scorre lungo
la via Papalis:
“Dal Ponte Elio si passa per la Via dei Banchi Vecchi e la
Via del Pellegrino fino al gruppo degli edifìzì
Pompeiani, poi per il Circo Flaminio sino al piè del
Capitolio. Dopo l'arco di Severo, l'itinerario passa per il Foro
Romano e la Sacra Via: restano a destra le chiese di S. Maria antiqua
e S. Teodoro, a sinistra quelle di SS. Cosma e Damiano e di S.
Pietro. Quest'ultimo nome si deve separare senza dubbio dal seguente
ad vincula,e deve intendersi la chiesuola dei due apostoli Pietro e
Paolo in silice, fondata già nel VI secolo dinanzi il tempio
di Venere e Roma, ma scomparsa quando ivi presso venne fondata la
basilica di S. Maria
Nova.”
(Itinerario
di Einsiedeln, IX Sec.)
XIV
Sec. Cattività avignonese dei papi
Due inondazioni del Tevere
1349 Terremoto molto forte (scosse per 40 giorni)
1350 Epidemia
Clemente V, papa francese, decise di stabilire provvisoriamente la
sede papale prima a Poitiers,
poi ad Avignone.
Ci vollero sei pontificati per il ritorno del papa a Roma; in
quest'opera di convincimento fu molto attiva Caterina da Siena.
Gregorio XI, nato Pierre Roger de Beaufort, fu l'ultimo dei papi di
Avignone, poiché nel 1377 riportò a Roma la sede
papale.
Tre quarti di Roma entro le mura è ancora dominata dal verde,
le terre allagate o fangose sono ovunque e il pericolo della malaria
è reale. L'area del Fori Imperiali tradisce nel toponimo
“i Pantani” la presenza di una vasta zona impaludata; il
vecchio Foro Romano è sepolto e abbandonato. “I vari
interramenti e ricostruzioni ad un piano più alto di strade ed
edifici avvenuti
nei secoli precedenti hanno formato una stratificazione di diversi
metri: il primo livello corrisponde al piano di posa delle eventuali
lastre marmoree di pavimentazione (rimosse per farne calce) a cui
viene sovrapposto un semplice battuto che tra la fine del V e gli
inizi del VI secolo fu sostituito da un selciato formato da basoli di
riutilizzo; salendo troviamo uno strato di riempimento del IX–X
secolo, con il piano stradale in acciottolato. La quota rimane
praticamente invariata per tutto l’altomedioevo e inizia a
crescere lentamente solo a partire dai secoli centrali del medioevo
sino a raggiungere il livello rinascimentale quando le vie vengono
almeno in parte rivestite con basoli antichi di medie e piccole
dimensioni preludendo quasi al moderno rivestimento a ‘sampietrini’
della Roma moderna”. (Meneghini)
XV
Sec. Pop. >50.000
Tre inondazioni del Tevere
1450 Ricostruzioni/interramenti documentati
1480 Abbattimenti di Sisto IV, allargamento delle strade
in campo Marzio
“Martino
V Colonna fu il primo papa che poté occuparsi di un rilancio
di Roma anche in termini
monumentali e artistici. I primi cantieri a venire aperti
riguardarono essenzialmente i due centri principali del Laterano e
del Vaticano, dove venne trasferita la residenza papale (pur
trascorrendo gran parte della sua vita da Pontefice nel palazzo di
famiglia ai Santi Apostoli che provvide a restaurare profondamente),
iniziando la trasformazione della zona oltre il Tevere da area
periferica
a immenso cantiere. Il successore Eugenio IV continuò l'opera
di rinnovamento rinascimentale della città con il ripristino
di numerose basiliche. Ma fu con Niccolò V che le
trasformazioni episodiche dei suoi predecessori assunsero una
fisionomia organica, preparando il terreno agli ambiziosi sviluppi
successivi. Si segnala una consistente migrazione di “maestri”
costruttori lombardi, di grande competenza e abilità,
menzionati negli archivi notarili del XV-XVI secolo.
Dopo aver ripristinato le mura leonine nonché quelle di Castel
Sant'Angelo, il pontefice avviò i lavori per la costruzione di
un nuovo acquedotto. Niccolò V era consapevole dell'importanza
dell'approvvigionamento idrico della città: la fine della Roma
antica veniva spesso spiegata con la distruzione dei suoi magnifici
acquedotti, avvenuta del VI secolo da parte dei popoli barbari.
Nel
Medioevo i romani dipendevano per la fornitura d'acqua da pozzi e
cisterne, mentre i poveri sfruttavano le acque del Tevere.
L'acquedotto dell'Aqua
Virgo,
originariamente costruito da Marco Vipsanio Agrippa nel I secolo
a.C., venne restaurato. I romani poterono così attingere acqua
fresca in un nuovo bacino, progettato da Leon Battista Alberti, che
fu il predecessore della Fontana di Trevi. Il pontefice ordinò
anche la costruzione di una fontana nella Piazza di Santa Maria in
Trastevere, dove non esisteva più un punto di raccolta di
acqua dall'antichità.” (Wiki)
Esiste un dipinto che raffigura il panorama di Roma nel XV Secolo,
l'unico che conosciamo così grande e dettagliato da
consentirci di avere un'idea visiva piuttosto nitida di come
apparisse la città in quegli anni; eseguito da un anonimo,
oggi è custodito al Palazzo Ducale di Mantova.
XVI
Sec. Diffusione del Barocco romano
Sventramenti e distruzioni in varie zone, soprattutto nel Foro.
1514 Inondazione del Tevere
1527-28 Sacco dei Lanzichenecchi ed epidemia
1530 Inondazione del Tevere
1557 Inondazione del Tevere
1590 Carestia
1589 Inondazione del Tevere
1598 Inondazione del Tevere,
crolla il Ponte S. Maria, oggi Ponte Rotto La
città, che nel XV Secolo aveva dato segni di rinascita,
dovette poi pagare un enorme tributo alle guerre d'Italia di inizio
XVI Secolo. Il sacco dei Lanzichenecchi del 1527-28, il più
pesante sofferto dalla città, ed il contemporaneo scoppio
della peste portarono alla morte di parecchie migliaia di persone fra
soldati imperiali e popolazione. “Col sacco del 1527 la peste
torna a Roma portata forse dagli spagnoli al seguito del Borbone. In
circa due anni, tra le stragi dei lanzichenecchi e la peste, la
popolazione di Roma passò da 55.000 a 30.000 abitanti. Forse
però, in quegli anni ne ammazzò più la sifilide
che la peste. In tutta Europa la sifilide fa strage: è tanta
la repulsione per questo morbo, che ogni nazione ne attribuisce la
causa alle nazioni nemiche. In Italia si chiama “mal francese”;
in Francia “male italiano”; in Spagna “male
tedesco”; in Turchia “male cristiano”; in Russia
“mal dei polacchi”; nelle Fiandre “male spagnolo”
e così via.” (Marcelli) Durante
l'inverno, per scaldarsi, fu bruciato tutto il legno esistente a
Roma: porte, finestre, mobili, pavimenti. Assieme bruciarono carte,
documenti, archivi e biblioteche. E' anche per questo motivo che le
notizie di cui gli storici possono avvalersi per la conoscenza della
città in epoca medievale sono scarne, se non del tutto
assenti.
Le migliorie urbanistiche sotto papa Sisto IV Della Rovere videro la
costruzione di nuove arterie
quali ponte Sisto, cui diede il nome, via dei Banchi e via dei
Coronari e la ricostruzione di san
Vitale. Particolarmente grave l'opera di distruzione perpetrata tra
il 1586 e il 1589 da papa Sisto V Peretti che, per la costruzione
della sua villa sull'Esquilino, demolì, anche con l'ausilio di
esplosivi,
i
resti del calidarium
nelle terme di Diocleziano, rapportabili a circa 100.000 m³ di
materiale.
A
partire dalla metà del XVI Secolo, terminate la guerra e
l'epidemia, i vari pontefici furono capaci di trasformare Roma in una
città modello di arte e architettura: nasce il Barocco. Ma
a quale prezzo. “Lo
scempio più emblematico si ebbe nel Foro: papa Giulio II Della
Rovere (1503-1513) decise di sfruttare tutta la zona come cava di
materiali da riutilizzare, molto spesso dopo averli trasformati in
calce, nel progetto di rinnovamento edilizio e artistico della città
da lui stesso avviato. Secondo i racconti di testimoni oculari come
Pirro Ligorio, la distruzione dei monumenti fu rapidissima: a volte
bastava un solo mese per demolire edifici quasi integri e a nulla
valsero le proteste di Raffaello o le riserve espresse da
Michelangelo. Nel tempio di Antonino e Faustina che rischiò
come tutto il resto di essere completamente smantellato furono
asportate le lastre marmoree che lo rivestivano; nella parte alta
delle colonne, sono ancora oggi visibili i segni lasciati dalle corde
nel tentativo di farle crollare.” (Wiki)
Nel Seicento, sotto i pontificati di Urbano VIII Barberini, di
Innocenzo X Pamphili e Alessandro VII Chigi, il Barocco divenne uno
stile di fama internazionale che la città dei papi diffuse in
tutto il mondo. Nasce con loro la Roma moderna, come ancora oggi ci
appare entro le mura. Questo segnò però la fine per ciò
che riguarda l'aspetto medievale delle basiliche e della città
in generale.
“I
materiali si ricercavano, gli edifici si demolivano, i marmi si
calcinavano alla piena luce del sole, sotto l' occhio indifferente
delle autorità, anzi col consenso di questa e con
partecipazione degli utili.” (Lanciani)
Come ancora oggi possiamo constatare non c'è chiesa a Roma che
non abbia colonne o marmi sottratti agli edifici antichi. Con la
prolungata assenza di epidemie la popolazione crebbe
considerevolmente, ma tutti gli abitanti di Roma ancora non sarebbero
riusciti a riempire per metà gli spalti del Circo Massimo.
XVII-XVIII
Secolo, Pop. >100.000 – Italia 15.000.000 – Europa
78.000.000
1606 Inondazione del Tevere
1637 Inondazione del Tevere
1643 Costruzione delle mura Gianicolensi
1647 Inondazione del Tevere
1656 Epidemia di peste (14.000 morti)
1660 Inondazione del Tevere
1703 Terremoto sui Monti Reatini “Altro
periodo drammatico per Roma fu il 1656. Tornò la peste!
Arrivò con un marinaio napoletano che prese alloggio in una
locanda di via di Montefiore, a Trastevere; si era ammalato e fu
trasportato all'ospedale di San Giovanni, dove morì dopo pochi
giorni. Il medico della Congregazione della Sanità escluse che
si trattasse di peste, nonostante gli assistenti dell'ospedale
avessero fatto presente che “era morto con segnali” di
peste. E fu un errore fatale, perché non vennero messe in
atto, per evitare il contagio, quelle accortezze necessarie in certi
casi, come isolare la locanda dove il marinaio aveva alloggiato.
Accadde però che l'ostessa e i suoi
figli morirono una decina di giorni dopo, e ci si convinse che era
peste; ma ormai l'epidemia era chiaramente in atto e andava
localizzata in tutto Trastevere. In una notte venne isolato il rione
con rastelli, cioè con lunghe cancellate di legno custodite da
guardie armate, che avevano l'ordine di sparare a vista a chi
tentasse di entrare o uscire. Malgrado i cancelli e la mira precisa
delle guardie, il morbo attraversò il Tevere.
Fu poi allestito un lazzaretto all'Isola Tiberina, sbarrando gli
accessi dei due ponti, perché all'isola si doveva arrivare
solo con barche, che venivano poi utilizzate anche per il trasporto
dei cadaveri alla spiaggia presso la basilica di San Paolo per
seppellirli in fosse comuni.
Vennero istituiti altri quattro lazzaretti; due a San Pancrazio e a
Casal Pio V per la convalescenza dopo una prima giacenza all'Isola;
un terzo in via Giulia per la corroborazione della salute dopo la
convalescenza; un quarto al convento di Sant'Eusebio, dove “erano
collocati que' poveri, i quali ammalando nelle case sospette per
esserne usciti infermi di peste”, e, non avendo i sintomi
propri, erano considerati "sospetti" e quindi appestati.
"Brutto" e "sporco" era definito tutto ciò
che veniva chiaramente a contatto con gli appestati, come medici,
confessori, guardie, barche, carrette; furono peraltro vietati
cortei, processioni e pubbliche funzioni e fu proibito il suono delle
campane, per evitare che i fedeli, a quel richiamo, si riunissero
nelle chiese. Fu inoltre prescritto a medici, chirurghi e cerusici di
non partire da Roma, pena la vita e la confisca dei beni. La peste
terminò nell'agosto 1657. Su una cittadinanza di 100.000
persone, i morti furono esattamente 14.473, di cui 11.373 nella città
sulla sinistra del Tevere, 1600 nel Ghetto e 1500 a Trastevere.”
(Marcelli)
“L'Accademia
dell'Arcadia
rappresenta, oltre ad un circolo letterario, un vero e proprio
movimento culturale, fondato a Roma il 5 ottobre 1690. I suoi
fondatori sono 14 letterati e intellettuali, tutti appartenenti al
circolo della regina Cristina di Svezia, che risiedette nello Stato
Pontificio dopo aver abdicato al trono. La poetica degli arcadici
reagiva al “cattivo gusto”, alle opulenze ed alle luci
cupe del Barocco con un ideale classico e pastorale ispirato dal
mondo idilliaco dell'antica regione Greca. Oltre al nome
dell'Accademia, emblematico da questo punto di vista, fu scelto
seguendo questa tendenza anche il nome della sede, una villa sulla
salita di via Garibaldi sulle pendici del Gianicolo: il Bosco
Parrasio.
I suoi membri furono detti Pastori, Gesù bambino (adorato per
primo dai pastori) fu scelto come protettore; come insegna, venne
scelta la siringa del dio Pan, cinta di rami di alloro e di pino e
ogni partecipante doveva assumere, come pseudonimo, un nome di
ispirazione greca.” (Wiki)
Clemente XI fece ricostruire il Porto di Ripetta in forme monumentali
con materiali di spoglio provenienti dal Colosseo (verrà però
distrutto nella seconda metà dell'800 per la costruzione dei
Muraglioni). La costruzione della scalinata di Trinità dei
Monti, ad opera di Francesco De Sanctis fu la conclusione ideale del
progetto del Tridente, insieme ai lavori del porto, con la
sensibilità barocca dei "giardini urbani"
(1723-26). Un'altra opera imponente, che si innestava su un
acquedotto romano, è la Fontana di Trevi, conclusa a metà
del Settecento. Sotto Benedetto XIV il
progetto barocco si poté dire completato.
In questi anni (1748) il cartografo Nolli documentò
minuziosamente il tessuto urbano. Clemente XI rinnovò inoltre
anche l'altro porto, quello di Ripa Grande, che venne da lui dotato
dell'Arsenale.
“I
Secoli dal XVII al XIX rappresentarono l'epoca d'oro del Grand
Tour,
periodo interrotto solo dall'occupazione napoleonica. Il termine
chiarisce come la moda di questo Tour riguardasse un viaggio
particolarmente lungo, che poteva attraversare i paesi
continentali e raggiungere perfino mete più esotiche come
l’Egitto, ma che aveva come traguardo prediletto e
irrinunciabile l'Italia e soprattutto Roma.
I viaggiatori (principalmente ricchi nordeuropei) si muovevano per
visitare gli importanti siti archeologici delle civiltà
classiche, ma molta attenzione era rivolta anche al contemporaneo,
alle opere arcadiche e allo studio della natura, il tutto per
perfezionare la propria educazione e conoscenza del mondo. Durante le
soste, da buoni turisti, spesso si ritrovarono ad acquistare opere
d’arte e d’antiquariato, cimeli e ricordi di vario genere
del viaggio. Fondamentale diventò farsi ritrarre dai pittori
più in vista del momento o acquistare vedute del paesaggio
italiano: tra i pittori più in voga all’epoca vi erano
Pompeo Batoni, Vanvitelli ed il Piranesi. Quest'ultimo esaltò
il Rovinismo, cioè il gusto per la drammaticità
dei grandiosi ruderi ed il fascino pittoresco e commovente degli
ambienti in abbandono e sopraffatti dalla natura.” (asinodoro)
“Roma era tappa imprescindibile e l’arrivo di questi
visitatori stranieri, fra cui artisti ed intellettuali, plasmò
la città, soprattutto nella zona considerata allora “nuova”,
tra Piazza del Popolo e Piazza di Spagna. Per molti, come Goethe e lo
stesso Gregorovius, arrivare nella città eterna costituiva il
raggiungimento di un sogno e talvolta ci si innamorava a tal punto di
Roma da non lasciarla più.
I colori di Via del Corso, i cocchi che la domenica specialmente
animavano la città, suscitavano in Goethe un senso di vitalità
non comune. In genere le sue mete preferite erano i Giardini
farnesiani sul Colle Palatino e il Campidoglio. Lo troviamo al Caffè
Greco, allora chiamato Caffè dei Tedeschi, un rifugio, un
punto di riferimento per artisti e letterati che amavano la calda
intimità di quel Caffè, per scambiarsi le loro
impressioni e le loro emozioni”. (L.
Stanziani)
“Nell’affresco
Il
Parnaso,
all’interno della Galleria nobile di Villa Albani, Anton Mengs
trascrive pittoricamente i principi fondamentali del vero stile
teorizzati da Johann Joachim Winckelmann, col quale il pittore boemo
era intellettualmente in sintonia e in stretto rapporto di amicizia.
Il primo evidente elemento stilistico presente nell’opera
consiste nell’ordine dispositivo dei personaggi, messi intorno
alla figura centrale di Apollo, dio della musica e personificazione
stessa della poesia, che ne scandisce un calcolato equilibrio
compositivo, con cinque personaggi sistemati alla sua destra e cinque
collocati alla sua sinistra, tutti sospesi in pose composte e
caratterizzanti, cui si aggiunge una sobria e naturale gestualità.
Ma l’idea dominante che permea il dipinto è quella della
ricerca di una nuova bellezza e della dichiarazione dell’assunto
estetico più caro all’autore: l’ideale. «Con
l’ideale» egli annotava, «intendo ciò che si
vede soltanto con l’immaginazione, e non con gli occhi; così
un ideale in pittura si fonda sulla selezione delle cose più
belle della natura, purificate da ogni imperfezione», quasi
parafrasando l’idea di bello enunciata a chiare lettere da
Raffaello: «Il pittore ha l’obbligo di fare le cose non
come natura le fa, ma come ella le dovrebbe fare.» Il soggetto
dell’affresco, difatti, è anche una sorta di omaggio al
Parnaso dell’Urbinate nella Stanza della Segnatura. Il Parnaso
di Mengs anticipa e annuncia il neoclassicismo, ne è in un
certo modo il manifesto, sebbene non esprima completamente la visione
neoclassica che è, oltre che estetica, anche etica. Visione
che è compiutamente concretizzata nel Giuramento
degli Orazi,
primo e autentico quadro totalmente neoclassico.” (Fragnoli)
“A Roma, dopo la
straordinaria stagione barocca e tardobarocca che produsse i suoi
frutti fino ai primi decenni del Settecento, la corrente del
Neoclassicismo giunse con Giovanni Battista Visconti, Commissario dei
Musei e Soprintendente alle Antichità, succeduto a Winckelmann
dopo il 1768. Visconti promosse una serie di significative
trasformazioni presso i Musei Vaticani, che ebbe inizio con
l'alterazione del cortile ottagonale da parte di Alessandro Dori, poi
sostituito da Michelangelo Simonetti. Dopo il 1775, sotto il
pontificato di papa Pio VI, i lavori ripresero con maggior vigore.
Su progetto dello stesso
Simonetti e Pietro Camporese furono aggiunte imponenti sale museali,
come quella delle Muse, la sala a croce greca e la scalinata
d'accesso. Tra il 1817 e il 1822, Raffaele Stern realizzò il
cosiddetto Braccio Nuovo. Nel loro insieme, questi ambienti
costituiscono una sequenza di spazi diversi, tutti caratterizzati da
un'insolita correttezza archeologica. Giuseppe
Valadier fu impegnato nei
restauri del Colosseo, dell'Arco di Tito, del Pantheon, di Ponte
Milvio, dedicandosi inoltre ai progetti di Villa Torlonia, del Caffè
del Pincio, della facciata di San Rocco e della sistemazione di
piazza del Popolo, quest'ultima considerata un capolavoro del
Neoclassicismo italiano sotto il profilo urbanistico.” (Wiki)
XIX
Sec. Pop. >200.000
1805 Inondazione del Tevere
1806 Terremoto sui Colli Albani
1809-1814 Occupazione francese
1846 Inondazione del Tevere
1862 Sventramenti per la stazione Termini
e piazza dei Cinquecento
1870 Roma capitale del Regno d'Italia
Inondazione del Tevere pop. >245.000
1873 Sventramenti per Muraglioni sul Tevere
1881 inizio urbanizzazione fuori le Mura
1883 Sventramenti – Corso Vittorio, Giardini
Pinciani e Laterano
1885 Sventramenti per Vittoriano e in Campidoglio
“Roma restò ‹medioevale›
per 850 anni: quando i bersaglieri entrarono a Porta Pia, trovarono
una città cresciuta di appena 120 mila abitanti in otto
secoli”. (ACRG)
Poi, negli anni seguenti, i vari piani regolatori mirarono
all'urbanizzazione sistematica extra mura,
dando il via alle più grosse speculazioni edilizie della
storia moderna.
“Come un segno del destino, il 28 dicembre 1870, poco più
di due mesi dopo la breccia di Porta Pia, Roma subì una grande
inondazione da 17,22 metri, la maggiore dal 1637. Secondo alcuni
studiosi, se nel frattempo il bacino del Tevere non fosse stato
ridotto in favore di quello dell'Arno, la piena del 1870 avrebbe
superato in intensità addirittura quella del 1598.
L'impressione fu grande e di nuovo si pose mano a progetti di opere
di difesa di Roma dalle piene.” (Wiki)
La situazione si sbloccò per impulso di Giuseppe Garibaldi,
che nel 1875 spinse il Parlamento a dichiarare l'urgenza dell'opera e
simultaneamente presentò un progetto di deviazione del Tevere
e dell'Aniene, che avrebbero dovuto aggirare Roma da est su un
tracciato più o meno simile a quello dell'attuale cintura
ferroviaria. “Garibaldi, che era stato eletto deputato, si
presentò a palazzo
Montecitorio in camicia rossa e poncho, tanto che a fatica lo fecero
entrare.” (Barbero)
Al momento di approvare la legge di finanziamento dell'opera,
prevalse però il progetto di Raffaele Canevari di arginare il
Tevere con gli alti muraglioni di travertino come li vediamo ai
giorni nostri.
XX
Sec. 1900 Pop. >500.000 – Italia 35.000.000 – Europa
450.000.000
1932 Sventramenti per Via dei Fori Imperiali
1934 Sventramenti per via del Mare e via della
Conciliazione
1938 Sventramenti all' Augusteo. Pop. >1.000.000
1943 Bombardamenti a San Lorenzo, Appio e Tuscolano
1944 Bombardamenti su Magliana e Quadraro
1955
Inaugurazione della Metropolitana. pop. <1.650.000
XXI Sec, pop. >2.650.000 – Italia 60.000.000 – Europa
750.000.000
“Gli sventramenti hanno provocato da una parte la perdita secca
e senza contropartita di valori storici, architettonici e ambientali
insostituibili e, dall’altra, la deportazione degli abitanti in
periferia, in borgate costruite in tutta fretta con i materiali più
scadenti, dove la gente, strappata alle sue abitudini e alle sue
attività, venne condannata a vivere in condizioni igieniche
peggiori di quelle dei vecchi e pur degradati quartieri che venivano
distrutti.
Quanto al traffico, i nuovi stradoni con i grossi palazzi costruiti
al posto del vecchio tessuto edilizio, ebbero come conseguenza non
già il suo alleggerimento, ma il suo ovvio aggravamento e
congestione in tutto il centro, man mano che aumentavano le auto,
fino alla paralisi attuale. Va da sé che la vera ragione degli
sventramenti fu la speculazione edilizia: gli stessi miseri
insediamenti costruiti per gli sfrattati dal centro servirono in
seguito egregiamente per far salire i prezzi dei terreni circostanti
e intermedi, quindi per l’indiscriminata e soffocante
espansione a macchia d’olio delle città, a vantaggio dei
proprietari terrieri.
Non bisogna naturalmente, in tutto questo, esagerare l’importanza
di Mussolini. Egli ebbe solo la forza e l’autorità di
realizzare quanto da decenni era previsto dai piani regolatori di età
umbertina e successivi, e quanto era proposto dalla cultura ufficiale
dell’epoca. Si trattava di una cultura retorica e accademica,
che pretendeva di adeguare la città esistente alle esigenze
dei tempi nuovi, senza capire che l’operazione da fare era
quella inversa, ossia creare la città nuova non sopra ma
accanto all’antica, subordinando la soluzione dei problemi
moderni (traffico, industrializzazione, urbanesimo) alla salvaguardia
della città che ci era stata tramandata nei secoli.”
(Associazione Culturale Rome Guides)
Fino a metà '800 Roma aveva mantenuto le dimensioni di una
città di grandezza media, ma da quando è divenuta
Capitale d'Italia le cose sono cambiate e la tranquilla e grandiosa
quinta di tutti i più grandi
artisti si è trasformata in una disordinata metropoli. A causa
degli sventramenti operati da quel periodo fino alla prima metà
del XX Secolo, conseguenza di discutibili piani urbanistici, interi
isolati cinque-seicenteschi hanno lasciato il posto a piazze e a
larghi boulevard (Corso Vittorio Emanuele, Piazza Venezia, Altare
della Patria, via dei Fori Imperiali, via Petroselli ex via del Mare,
stazione Termini, ecc.). Nei secoli sono scomparsi, oltre ai maestosi
edifici e alle statue dell'antichità, almeno 150 chiese e
monasteri medioevali, alcuni tratti delle mura aureliane e deliziosi
angoli del centro storico come via Tor de' Specchi, Piazza
Montanara, Macel de' Corvi. Per non parlare di ville e giardini,
l'autentico tesoro della città eterna:
“Le
piante storiche di Roma, dal Cinquecento e fino al 1870 (G.A. Dosio,
1561, G.B. Falda, 1676, G.B. Nolli, 1748, G. Vasi, 1781 e A.
Moschetti, 1839, solo per citare le più celebri), svelano
un’immagine della città racchiusa dalle Mura Aureliane
in cui l’elemento non urbanizzato prevale sul costruito. Ville
e giardini romani prospereranno, dunque, tra il XV e il XVIII secolo,
spesso trasformati a causa dei cambiamenti di proprietà e di
gusto, mantenendo, però, intatta la loro vocazione originaria.
Tra Sette e Ottocento tuttavia, con il declino economico dello Stato
Pontificio, alcuni di questi complessi cadranno in abbandono e
verranno demoliti o perderanno quasi del tutto le caratteristiche che
li avevano resi celebri. Spariranno antiche residenze come il
quattrocentesco “casino” dei Colonna al Quirinale, presso
il Tempio di Serapide, allora identificato come “Tempio del
Sole”, ancora attestato nella prima metà del Seicento, o
il giardino dei Soderini, mirabilmente impiantato nel Cinquecento
all’interno del Mausoleo di Augusto, caduto in rovina alla metà
del Settecento e poi soppiantato da un’arena detta “Anfiteatro
Corea” per i combattimenti con i tori, del quale, negli anni
Trenta del Novecento, Antonio Muñoz ipotizzò una
riproposizione.
Importanti ville cinque-seicentesche scompaiono, invece, a causa
dello stato di abbandono in cui versano, come la Villa Giustiniani
fuori Porta del Popolo, acquistata nel 1820, oramai in declino, da
Camillo Borghese per l’ampliamento della villa pinciana e della
quale sopravvive soltanto una dépendance, la cosiddetta
“Casina Giustiniani” o la Villa Sacchetti al “Pineto”
con le sue pregevoli sistemazioni, il cui elegante edificio,
progettato da Pietro da Cortona nel terzo decennio del Seicento
appariva già fatiscente alla fine del secolo. Un’altra
causa di distruzione o trasformazione di molte ville romane furono i
combattimenti scatenatisi per la difesa della Repubblica Romana
durante l’assedio posto dall’esercito francese alla città
nel 1849.
Molte aree al di fuori delle mura vennero colpite dai bombardamenti o
dalle distruzioni programmate per eliminare eventuali caposaldi a
favore degli assedianti, dai Prati di Castello alla zona compresa tra
Porta Pia e Porta Flaminia: in quest’ultima fu minata e fatta
esplodere la settecentesca Villa Patrizi, poi ricostruita dalla
famiglia nelle medesime forme e infine distrutta definitivamente nel
1909 per la costruzione della sede del Ministero dei Trasporti.
Furono gravemente danneggiati alcuni edifici di Villa Borghese, come
il “Casino dei Giuochi d’acqua” e l’attuale
“Aranciera” sede del Museo Bilotti, e fu distrutta la
pittoresca “Casina di Raffaello” sita nell’adiacente
“Villetta” di Giuseppe Doria, presso l’attuale
Galoppatoio, soggetto di numerose raffigurazioni
paesaggistico/evocative. Ma il settore più pesantemente
colpito dai cannoneggiamenti fu quello Gianicolense, teatro
dell’assedio vero e proprio.
Qui furono disastrati tutti gli orti, i giardini e le residenze di
delizia che si affollavano fuori e dentro le mura, tra cui il Casino
Corsini ai Quattro Venti, poi incluso nella adiacente Villa Pamphilj
e soppiantato dal celebrativo “Arco dei Quattro Venti”, e
l’originale “Vascello”, dimora progettata nel 1663
da Plautilla Bricci per l’abate Elpidio Benedetti, poi passata
in proprietà al conte Giraud, che ospiterà l’avamposto
degli eroici difensori della Repubblica soffrendo così la
completa distruzione.
Ma sarà la destinazione di Roma a Capitale d’Italia, e
la conseguente necessità di ammodernamento e ampliamento della
città, a comportare, negli anni successivi al 1870, una decisa
inversione del rapporto tra non-abitato e costruito, sacrificando in
gran parte ville e giardini, pur celeberrimi, per far spazio a nuovi
quartieri, strade, servizi e centri amministrativi, sia dentro che
fuori le Mura.
Le attuali ville storiche, originariamente private, sono
sopravvissute in gran parte grazie a politiche di acquisizione
pubblica, dettate più da ragioni urbanistiche, come la
dotazione di spazi verdi a fronte di un’urbanizzazione
intensiva, che di salvaguardia tout-court.
La quantità di complessi e giardini scomparsi a causa dello
sviluppo urbano è impressionante, ma, fortunatamente, un
cospicuo numero di documenti scritti e visivi, molti dei quali
conservati nelle collezioni dei Musei di Roma Capitale, testimonia le
loro bellezze e peculiarità.
Seguendo la cartografia esplicativa dei vari Piani Regolatori è
possibile ricostruire la storia delle distruzioni o radicali
trasformazioni delle ville romane.
Tra Quirinale e Viminale, sotto la spinta dei progetti di
edificazione di monsignor Xavier de Mérode
per l’apertura di via Nazionale, vengono meno gli “horti”
una volta di proprietà del cardinale du Bellay e viene
tagliata via una parte del giardino di Villa Aldobrandini. Nelle
successive lottizzazioni è inoltre distrutta la Villa Strozzi,
già Frangipane, con le sue notevoli collezioni d’antichità
e la memoria della residenza romana di Vittorio Alfieri, frantumata
prima dal passaggio delle nuove vie Napoli, Firenze e Torino e poi
definitivamente annientata con la costruzione del Teatro Costanzi.
Stessa sorte tocca al seicentesco giardino Chigi in via Quattro
Fontane, un interessante esempio di “villetta” urbana che
ospitava un singolare museo di “curiosità”, la cui
scenografica sistemazione ci è trasmessa dall’incisione
di Teresa Del Po che raffigura l’apparato architettato da Carlo
Fontana per il banchetto offerto dal cardinale Flavio Chigi a
Caterina Rospigliosi il 15 agosto 1668 e da un dipinto del 1850 di
Giuseppe Roesler Franz che mostra una voliera a forma di tempietto
ormai in abbandono. Ancor più dolorosa è la
devastazione delle ville nell’area esquilina, tra le quali
spiccano le aristocratiche Villa Caserta (Caetani), posta tra via
dello Statuto e via Merulana, e Villa Palombara, poi Massimo, nel
luogo dell’attuale piazza Vittorio, della quale sopravvive
soltanto la celebre “porta magica”. Ma la perdita più
rilevante fu la dimora della villa della famiglia di Sisto V, la
Villa Montalto-Peretti, poi passata ai Negroni e in ultimo ai
Massimo, sacrificata per la costruzione del nuovo quartiere Esquilino
e della limitrofa Stazione Termini. Possiamo quindi valutare le
fattezze degli edifici principali, il “Palazzo di Termini”,
soppiantato dall’attuale Palazzo Massimo alle Terme (1888), una
delle sedi del Museo Nazionale Romano, e il “Palazzetto
Felice”, l’edificio amato da Sisto V per la piacevolezza
dei suoi ornamenti, in un primo momento sopravvissuto alla prima
urbanizzazione dell’area ma successivamente (1888) anch’esso
demolito. Altra perdita considerevole è quella del seicentesco
giardino Giustiniani, che si distendeva tra la via Sistina (Merulana)
e la piazza di San Giovanni in Laterano, della quale resta, con
accesso in via Matteo Boiardo, se pur rimaneggiato, il casino
decorato internamente nel 1803 dai pittori nazareni su commissione
del principe Carlo Massimo, divenutone proprietario l’anno
precedente.
Nel 1848 la villa passò ai Lancellotti che, nel 1871,
vendettero il giardino come area edificabile; nel 1885 ne fu avviata
la distruzione. Il portale monumentale sulla via Merulana attribuito
a Carlo Lambardi fu smontato, ceduto allo Stato nel 1929 e
ricostruito a Villa Celimontana nel 1931 portale villa Celimontana],
in sostituzione di un mediocre ingresso dei primi dell’Ottocento
demolito per l’allargamento di via della Navicella. La bellezza
del giardino, punteggiato di statue antiche, prospettive
architettoniche e scompartito da alte siepi, è mirabilmente
documentata da una serie di 7 acquerelli conservati al Museo di Roma.
Oltre alle grandi ville, la prima ondata di urbanizzazione travolge
anche il tessuto di piccole e pregevoli dimore circondate da giardino
che costellavano l’area tra Castro Pretorio e Porta Tiburtina,
come p. es. le ville Rondinini, Olgiati, poi del Noviziato dei
Gesuiti. Anche la seconda, e ben più consistente, fase di
inurbamento, sancita dal Piano Regolatore redatto da Alessandro
Viviani nel 1882, cancellerà dalla mappa di Roma ville antiche
e famose. È il caso della Villa Altoviti affacciata su Tevere
ai Prati di Castello, anch’essa soggetto di vedute di
paesaggio, la cui loggia nel 1553 era stata affrescata da Giorgio
Vasari, incendiata durante i combattimenti del 1849, poi ricostruita
e infine demolita per la costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia
(1889-1910) e del quartiere limitrofo.
Non meno grave è la distruzione del tessuto di ville e
giardini che caratterizzava l’area tra Porta Pia e Porta
Pinciana per la realizzazione del “Nuovo Quartiere agli Orti
Sallustiani”, con la sparizione della Villa Massimo di Rignano
e della pittoresca “villetta” Spithover, già
Barberini, il cui casino, demolito nel 1906, sormontava i resti delle
sostruzioni degli antichi horti.
In quest’area si registra la perdita più significativa,
quella della nobile seicentesca villa dei Ludovisi, offerta nel 1886
dall’ultimo proprietario, Rodolfo Boncompagni Ludovisi, in
convenzione alla Società Generale Immobiliare per procedere
alla lottizzazione di più dell’ottanta per cento della
sua superficie totale che darà vita all’attuale “Rione
Ludovisi”.
Meta di viaggiatori e studiosi, fu decantata da scrittori e poeti per
il pregio della straordinaria collezione di oltre 450 sculture
antiche e per la bellezza dei giardini impiantati nell’area
degli antichi horti di Sallustio (dei quali si conservava, giacente
in terra, un obelisco anticamente lì innalzato) da dove si
godeva un fenomenale colpo d’occhio sulla città.
Il rincrescimento, energicamente espresso da Gabriele D’Annunzio,
Rodolfo Lanciani e Theodor Mommsen, per il sacrificio del complesso,
dal quale fu risparmiato il solo Casino dell’Aurora decorato
dalle pitture di Caravaggio e di Guercino, ben risuona in uno scritto
dello storico dell’arte Herman Grimm, intitolato La distruzione
di Roma (1886), in cui affermava che «profetizzare, che sotto
il nuovo governo la villa dovesse andare distrutta … e gli
allori, le querce, i pini abbattuti … sarebbe stato allora
un’offesa che né anche il più acerbo nemico della
nuova Italia avrebbe osato recarle». Oltre la già
ricordata Villa Patrizi sulla Nomentana, al Celio sarà
sacrificata, per la costruzione dell’Ospedale Militare
(1885-91), la Villa Casali col suo pregevole edificio e il giardino,
del quale resta solo una fontana a pianta polilobata all’interno
del parco del nosocomio, da cui si ammirava la spettacolare vista del
Colosseo. Ancora al Celio, all’incrocio tra le vie dei Santi
Quattro Coronati e di Santo Stefano Rotondo, verrà distrutta
la villa-museo del marchese Giovanni Pietro Campana, famosa nella
prima metà dell’Ottocento per le notevoli collezioni di
antichità esposte in apposite architetture e nel giardino:
alla morte del proprietario (1880) la proprietà fu acquistata
dallo scultore inglese Warrington Wood e intorno al 1895 passò
all’Ordine dei Cappuccini e al “Collegio Salviati”
per essere, infine, abbattuta nel terzo decennio del Novecento per la
nuova edificazione del Pontificio Collegio Irlandese (1922-26).
Anche la realizzazione dei nuovi argini di contenimento del Tevere,
opera intrapresa a partire dal 1875 e conclusasi nel 1926, comportò
la distruzione o la riduzione dei giardini affacciati sul fiume.
Il giardino della “Farnesina” fu di fatto dimezzato e
perdette il “caffeàus” fluviale derivato
dall’antica loggia del giardino Farnese. Stesso destino subì
anche un’altra sistemazione farnesiana, il casino con giardino
connesso a Palazzo Farnese detto “della Morte”, al pari
del seicentesco “Casino di Donna Olimpia” a Ripa e del
giardino Consalvi, poi Marescotti, a Ponte Rotto.
Sulla
via Portuense disparve la pregevole Villa Massimo, poi Della Porta
Rodiani e Sacripanti, realizzata agli inizi del Seicento; ne resta
l’imponente portale del 1629, il cui progetto è
attribuito a Girolamo Rainaldi, oggi soffocato dall’edilizia
abitativa intensiva sorta tra gli anni Sessanta e Settanta del
Novecento. A partire dal Dopoguerra il consumo di suolo
e di aree verdi di pregio, dovuto all’urbanizzazione e alla
speculazione edilizia, tende ad arrestarsi, da un lato per la
saturazione delle aree centrali e di quelle suburbane più
prossime, dall’altro per una più nitida consapevolezza
dell’importanza culturale e civile dei giardini storici che ne
ispirerà la difesa e la tutela.”
(Cremona/Sovrintendenza)
“Lasciamo
in pace i Barbari! I danni che essi hanno fatto a Roma sono
trascurabili in confronto ai danni fatti da altri.
E per “altri” intendo i Romani stessi, i
Romani dei periodi imperiale e bizantino, del Medioevo e del
Rinascimento,
e
anche dopo.” (R.
Lanciani)