La Storia Segreta
La Storia Segreta è un'opera storica di Procopio di Cesarea, pubblicata postuma dopo il 565.
Procopio nacque in Palestina nel 490 circa e fu uno storico, giurista e militare bizantino.
Scritta nel 550 (32º anno del regno di Giustiniano, dato che Procopio considera anche il regno del predecessore e zio Giustino I parte del periodo ), non venne pubblicata mentre era ancora in vita Giustiniano, visto il contenuto dell'opera. Essa è infatti un libello scandaloso e diffamatorio che accusa Giustiniano di aver deliberatamente rovinato l'Impero Romano e se Procopio l'avesse pubblicata avrebbe probabilmente rischiato la vita.
A causa di ciò, dell'esistenza dell'opera si venne a conoscenza solo molti secoli dopo la sua redazione; Fozio, Patriarca di Costantinopoli ed erudito bibliografo (lo conosceremo meglio più avanti), nella sua Biblioteca non ne fa nessuna menzione, e solo l'enciclopedia bizantina del X Secolo, la Suda, fece menzione esatta dell'opera e ne trascrisse persino alcuni frammenti.
Venendo a conoscenza dell'esistenza dell'opera leggendo la Suda, gli studiosi incominciarono le ricerche di questo libro, che furono per molto tempo infruttuose; per quel che sappiamo, Giovanni Lascaris aveva portato in Italia da Costantinopoli un esemplare dell'opera, che poi donò a Lorenzo de' Medici: dopodiché si persero le tracce dell'opera, anche se è assai probabile che l'esemplare sia stato portato in Francia da Caterina de' Medici. Mentre alcuni studiosi cercavano proprio in Francia il manoscritto dell'opera, si venne a conoscenza che un altro esemplare era in possesso di Giovanni Pinelli. Purtroppo quest'ultimo esemplare sembra esser finito in acqua per il naufragio della nave su cui tale manoscritto avrebbe dovuto essere portato a Napoli.
Finalmente,nel XVII Secolo, l'opera fu rinvenuta da Nicolò Alemanni, custode della Biblioteca Vaticana, che nella Biblioteca di cui era il custode ne trovò ben due esemplari. Secondo Voltaire, è una satira dettata dalla vendetta; e quantunque la vendetta possa far dire la verità, questa satira, che contraddice la storia pubblicata di Procopio, non pare sempre vera.
Procopio accusa Giustiniano e Teodora di aver rovinato deliberatamente l'Impero Romano, facendo di tutto per opprimere e impoverire i sudditi: con l'aumento delle tasse, con l'aumento della corruzione, con innovazioni che portarono solo rovina, garantendo l'immunità alla fazione degli Azzurri, con le guerre di conquista che causarono la morte di milioni di persone, con la confisca di beni ai senatori ecc. Procopio afferma addirittura che Giustiniano non sarebbe un essere umano ma il principe dei demoni incarnatosi in un imperatore per rovinare l'Impero; e narra pure delle dicerie che confermerebbero la sua tesi (tipo che Giustiniano sarebbe stato visto girare di notte per il palazzo senza testa oppure che un tale disse di aver visto seduto sul trono non Giustiniano ma il principe dei demoni, oppure Teodora sognò che si sarebbe sposata con il principe dei demoni). Questo servì a Procopio per attribuire a Giustiniano anche la peste, i terremoti e le inondazioni che afflissero l'Impero sotto il suo regno.
I capitoli dal 6 all'8 introducono la famiglia ed il carattere di Giustiniano.
I capitoli 9 e 10 raccontano dell' infanzia di Teodora. Viene narrato come un'attrice prostituta sia diventata un'imperatrice. Poi, nei capitoli dall'11 al 14 si parla dell' avarizia, delle persecuzioni e degli atti ingiusti di Giustiniano; con la persecuzione degli eretici, delle lotte tra gli Azzurri e i Verdi e delle dicerie sulla natura demoniaca di Giustiniano e Teodora.
I capitoli 15, 16 e 17 raccontano dei crimini e iniquità dell'Imperatrice Teodora, che rinchiudeva le prostitute in un convento costringendole con la violenza a una vita di penitenza; proteggeva le adultere e costringeva nobildonne a sposare controvoglia degli uomini rozzi.
Nel capitolo 18 si spiega come Giustiniano con le sue guerre causò milioni di morti, mentre i territori dell'Impero nei Balcani e in Oriente venivano saccheggiati da Slavi, Persiani e Saraceni. A Giustiniano si attribuiscono terremoti, peste e altre catastrofi naturali.
Nei capitoli dal 19 al 23 viene criticata l'amministrazione finanziaria, rapace e predatoria.
Nei capitoli 24, 25 e 26 di come Giustiniano oppresse l'esercito, i mercanti, le professioni, il popolo.
Nei capitoli 27, 28 e 29 vengono raccontati altri atti iniqui dell'Imperatore, accusato di corruzione ed ipocrisia.
Infine, nel capitolo 30 Giustiniano riforma la corte. I senatori sono costretti a dirsi suoi schiavi e a chiamare Giustiniano e Teodora "Signore" e "Signora" invece di "Imperatore" e "Imperatrice". Conclusione con presagio sulla morte dell'imperatore.
I primi cinque capitoli sono dedicati a Belisario, di cui Procopio era segretario personale, e alla infedele moglie Antonina, e il ritratto di Belisario che ne esce da questa opera è opposto a quello della Storia delle guerre. Se infatti nella Storia delle guerre viene dato un ritratto molto positivo di Belisario, dipinto come un uomo virile, magnanimo con i vinti e vittorioso in guerra, nella Storia segreta Belisario è un uomo talmente innamorato della moglie da esserne schiavo; inoltre viene anche criticato per non aver mosso un dito per aiutare il figliastro Fozio, perseguitato da Teodora, per aver anteposto gli interessi familiari al successo della spedizione contro la Persia e per aver impedito che la figlia Giovannina sposasse il nipote di Teodora, assecondando il volere della moglie di cui, a dire di Procopio, continuava ad essere schiavo. Viene anche accusato di aver depredato gli Italici e di non aver avuto il coraggio di affrontare il re degli Ostrogoti Totila con grosso danno per i Bizantini.
Chi era Belisario?
Flavio Belisario è stato un generale romano bizantino che servì sotto Giustiniano I (527-565) ed è considerato uno dei più grandi condottieri della storia dell'Impero romano d'Oriente.
Nato in una cittadina dell'odierna Bulgaria, intraprese la carriera militare giovanissimo, in qualità di soldato nel corpo di guardia dell'Imperatore Giustino I (518-527), per poi, scalando la struttura gerarchica dell'esercito bizantino, divenire magister militum (generale). Si distinse nella guerra iberica contro i Sasanidi, per poi salvare il trono dell'imperatore Giustiniano sedando con successo la rivolta di Nika (532). Successivamente, Giustiniano gli affidò il comando delle sue grandi guerre di conquista in Occidente: la prima, la guerra vandalica, combattuta contro il regno africano dei Vandali (533-534), la seconda, la guerra gotica, svoltasi nel Regno d'Italia sotto il dominio degli Ostrogoti (535-540). Le due campagne ebbero buon esito: Belisario riuscì non solo a sottomettere tutto il Nordafrica e gran parte dell'Italia, ma anche a condurre il re vandalo Gelimero e il re goto Vitige in catene ai piedi di Giustiniano. In seguito alla vittoria africana, Giustiniano gli concesse il trionfo e l'onore del consolato per l'anno 535. Richiamato a Costantinopoli, fu inviato in Oriente contro i Persiani. Da questi successi, fino al 565, anno della sua morte, Belisario non fece che combattere, stringere accordi e cercare alleanze, tanto che Dante, nella Divina Commedia lo menziona nel sesto Canto del Paradiso, come esempio perfetto del guerriero di Dio.
Nonostante il suo notevole contributo alla difesa dell'Impero, Belisario cadde più volte in disgrazia con l'imperatore: accusato di tradimento, venne però ogni volta riabilitato.
Antonina
Procopio ci narra che Antonina fu una moglie infedele ed ebbe un amante, Teodosio. Quest'ultimo era il figlioccio di Belisario: il generale bizantino l'aveva infatti fatto battezzare per far sì che potesse partire con lui come soldato per la spedizione in Africa. Il battesimo di Teodosio, in seguito al quale Belisario e Antonina lo adottarono, avvenne prima della partenza per l'Africa. Durante la guerra vandalica, Antonina iniziò ad avere rapporti sessuali clandestini con il figlioccio. Durante la loro permanenza a Cartagine, Belisario sorprese i due amanti in una camera sotterranea. Antonina giustificò l'accaduto dicendo che erano scesi per occultare il meglio del bottino in modo da nasconderlo a Giustiniano. Il giovane si rivestì, e Belisario decise di non credere a ciò che aveva appena visto.
Tempo dopo, a Siracusa, Belisario seppe dalla sorvegliante di Antonina, Macedonia, che ella lo tradiva. Una fuga precipitosa in Asia salvò Teodosio dalla giustizia di Belisario, che aveva ordinato a una delle sue guardie di uccidere l'adultero; ma le lacrime di Antonina convinsero il generale della sua innocenza; egli decise di non dare credito ai testimoni dell'adulterio. Antonina ottenne la sua vendetta: Macedonia, insieme ai due testimoni, vennero arrestati e le loro lingue vennero tagliate, i loro corpi vennero fatti a pezzi, e i loro resti vennero gettati nelle acque di Siracusa.
A un certo punto Teodosio decise di ritirarsi in un monastero a Efeso, causando le lacrime di Antonina e di Belisario stesso. In realtà Teodosio risiedeva nel monastero solo quando Belisario era a Costantinopoli; quando il generale partì per la Persia, Teodosio ritornò a casa per soddisfare la libidine di Antonina. Fozio, il figlio legittimo di Antonina, decise di informare il patrigno della relazione tra Antonina e Teodosio. Quando Belisario lo seppe, disse:
«Figlio carissimo, non hai mai conosciuto tuo padre perché ha concluso il suo ciclo quando eri ancora un lattante. Non ti sei goduto niente delle sue ricchezze, perché non è stato troppo fortunato con il denaro. Io ero il tuo patrigno e ti ho cresciuto: ormai hai un'età in cui devi schierarti energicamente dalla mia, quando vengo offeso. Grazie a me sei arrivato alla carica di console e ti sei straarricchito [...]. È il momento per te di non star lì a tollerare che alla rovina di casa mia si aggiunga per me la perdita di tante ricchezze, che tua madre si macchi di così tante vergogne davanti a tutti. Tieni a mente che le colpe delle donne non ricadono solo sui mariti ma, e, anche di più, sui figli: la convenzione comune [...] è che "i maschi matrizzano sempre". Tieni però presente che io amo mia moglie; se mi riesce di vendicarmi di chi ha distrutto la mia famiglia, a lei non farò niente; ma, finché vive Teodosio, non me la sento di perdonarla.»
Fozio, una volta partita Antonina in Oriente per raggiungere il marito, si recò quindi a Efeso, catturò Teodosio e lo tenne prigioniero in Cilicia. Nel frattempo Belisario, venuto a conoscenza dell'arrivo di Antonina, si ritirò per raggiungerla e la sottopose a stretta sorveglianza, ma a questo punto intervenne l'imperatrice Teodora che, in apprensione per la moglie del generale, decise di richiamare lei e il marito nella capitale. L'Augusta costrinse il generale a riconciliarsi con l'adultera, e fece torturare numerosi seguaci di Belisario e di Fozio. Quest'ultimo venne sottoposto a tortura per fargli svelare il luogo dov'era stato segregato Teodosio. Allo stremo, Fozio parlò, e Teodosio venne ritrovato e riportato a Costantinopoli. Un giorno Teodora convocò Antonina a palazzo e le mostrò una «perla unica»: Teodosio. Antonina, sopraffatta dalla gioia, ringraziò l'Imperatrice, ma da lì a poco Teodosio morì di dissenteria, privando Antonina del suo amante. Il figliastro di Belisario, Fozio, passò ben tre anni in prigione prima di evadere e trovare rifugio in un monastero.
Roma
Durante la Guerra Greco-Gotica, Belisario fu a Roma nel 537 e 538, incaricato di fermare l'assedio da parte delle orde ostrogote di Vitige. Durante l'assedio della città il popolo patì la fame per il progressivo esaurirsi delle riserve di cibo; Belisario cercò di fare quello che poté per soddisfare i bisogni dei Romani ma rigettò con disdegno la proposta di capitolare al nemico. Prese severe precauzioni per assicurarsi la fedeltà dei propri uomini: cambiava due volte al mese gli ufficiali posti a custodia delle porte della città, ed essi venivano sorvegliati da cani e altre guardie per prevenire un eventuale tradimento. Quando venne intercettata una lettera che assicurava al re degli Ostrogoti che la porta Asinaria sarebbe stata segretamente aperta alle sue truppe, Belisario bandì numerosi senatori; inoltre convocò nel suo ufficio (Palazzo Pinciano) papa Silverio, e gli comunicò che per decreto imperiale non era più papa e che era stato condannato all'esilio in Oriente. Al posto di Silverio venne nominato papa Vigilio, che aveva comprato la nomina al soglio pontificio per 200 libbre d'oro.
Nel febbraio del 537, trentamila ostrogoti si trovavano alle porte di Roma, pronti ad assediare la città, per fermare l'avanzata dei Bizantini capitanati dal generale Belisario, e prendere il possesso dell'ex capitale dell'impero.
Belisario si trovava svantaggiato, aveva solo cinquemila uomini, non sufficienti per la difesa della città, e le mura aureliane erano facilmente espugnabili dato il loro cattivo stato. Gli Ostrogoti si posizionarono attorno alla città, costruendo sette accampamenti onde bloccare l'arrivo di rifornimenti e iniziarono i preparativi. Inoltre tagliarono i quattordici acquedotti della città per lasciare la popolazione senz'acqua. Il generale chiese rinforzi a Giustiniano, che puntualmente arrivarono, e con una lunga serie di stratagemmi, diversivi, trattative e inseguimenti, da Milano, a Ravenna, da Rimini al Piceno, l'assedio fu scongiurato ed i Goti si ritirarono.
Secondo una leggenda sviluppatasi nel Medioevo, Giustiniano avrebbe ordinato di accecare Belisario riducendolo a un mendicante, condannato a chiedere l'elemosina per le vie di Costantinopoli. La leggenda è attestata per la prima volta in un manoscritto del XII secolo, dove in particolare viene affermato che il generale chiedeva l'elemosina presso il Palazzo di Lauso a Costantinopoli.
Secondo una variante "italiana" della leggenda, in seguito all'accecamento, Belisario sarebbe stato condannato a chiedere l'elemosina ai viandanti presso la Porta Pinciana di Roma, dicendo «Date obolum Belisario». In memoria di tale tradizione, la suddetta frase fu incisa su una pietra graffita posta alla destra della Porta Pinciana. Sebbene la maggioranza degli storici moderni non dia credito alla leggenda, la storia della cecità divenne un soggetto popolare per i pittori del XVIII secolo. Divenne uso comune rievocare il nome di Belisario per ricordare (e condannare) l'ingratitudine mostrata da alcuni sovrani nei confronti dei loro servitori. Un busto in marmo di Belisario del XVII Secolo, un tempo nel parco di Villa Ludovisi, oggi è visibile sulle Mura Aureliane nei pressi di via Campania. La nicchia è inquadrata da due lesene doriche che sostengono un timpano spezzato di peperino, sormontato da una conchiglia raccordata da volute in stucco.

